Sono i rifugiati siriani, ovunque si trovino, a subire le conseguenze della guerra aperta tra Turchia e Siria: aggrediti dalla polizia greca, caricati sugli autobus a Istanbul per fare pressioni sulla Ue, costretti all’addiaccio nel nord della Siria, in costante fuga dalle bombe governative (ieri l’Onu ha parlato di possibili crimini di guerra, con almeno 10 bambini morti di freddo nei campi sfollati).

E ora oggetto delle rappresaglie nazionaliste turche: domenica, riporta l’agenzia turca Duvar, case e negozi di siriani sono stati presi d’assalto da decine di persone nella città sud-orientale di Kahramanmaras, dopo i funerali di alcuni dei 33 soldati turchi uccisi il 27 febbraio in Siria. Le foto li mostrano fare il gesto dei lupi grigi, il gruppo fascista turco.

L’altra faccia del nazionalismo turco è il battesimo ufficiale dell’ultima operazione in territorio siriano, in corso da tempo ma senza nome: dopo Ramoscello d’Ulivo (l’occupazione del cantone curdo di Afrin, gennaio 2018) e Fonte di Pace (l’invasione del Rojava, ottobre 2019), l’esercito turco ha lanciato domenica Spring Shield, Scudo di primavera, contro le forze governative nel nord ovest della Siria.

È la risposta, ha detto ieri il ministro della difesa turco Akar, all’attacco del 27 febbraio: obiettivo, aggiunge, «è l’autodifesa». Eppure sono le truppe turche a trovarsi con gli stivali in territorio altrui. Poco importa, la narrazione della guerra necessita di un quadro accettabile agli occhi della comunità internazionale.

Negli ultimi due giorni il campo di battaglia si è trasferito in aria. Due giorni fa un drone turco ha abbattuto due caccia governativi, mentre l’aviazione siriana colpiva tre droni usati – dice Damasco – per prendere di mira postazioni militari. Fino al bombardamento turco dell’aeroporto militare di Nayrab, sud di Aleppo. Per la Turchia l’aeroporto è ridotto a un cumulo di macerie, inutilizzabile; per Damasco è funzionante, distrutti solo una pista e dei magazzini.

La battaglia aerea ha spinto domenica il governo siriano a chiudere lo spazio aereo su Idlib, con l’obiettivo di impedire il transito e i raid turchi, pena l’abbattimento. La Russia, tramite il ministero degli esteri, ha fatto sapere che da questo momento non è in grado di garantire la sicurezza all’aviazione turca.

Il presidente turco Erdogan non ha troppi spazi di manovra. Indietro è difficile tornare. E se Mosca prova a defilarsi dallo scontro militare, forse per dare una chance al vertice Putin-Erdogan del 5 marzo, il “sultano” va all’attacco del nemico numero uno degli ultimi nove anni, il presidente siriano Assad. Ieri gli ha mandato a dire che se insisterà nella controffensiva su Idlib le perdite siriane subite finora «non saranno che l’inizio».

L’occasione è il meeting del suo partito, l’Akp: va tenuto compatto in un momento di emergenza interna, con le opposizioni contrarie all’operazione siriana e una parte di opinione pubblica stufa delle manie di grandezze mediorientali in un periodo di seria crisi economica.

«Se non se ne tornano al di là dei confini stabiliti – ha detto Erdogan riferendosi alle zone di de-escalation previste dall’accordo di Sochi del settembre 2018 tra Russia e Turchia – non resterà nessuna testa sulle loro spalle. Siamo intenzionati a non permettere a gruppi terroristi (riferimento all’Isis e alla rete dell’imam Gulen) e a un regime oppressivo di poggiare gli occhi sul nostro territorio».

Ormai Idlib è casa sua, questa la narrazione turca. A mantenerne in parte il controllo sono i gruppi islamisti, lì radunati in anni di accordi di evacuazione siglati con il governo siriano nel resto del paese. Una galassia che ruota intorno alla milizia più potente e organizzata, la salafita Hayat Tahrir al-Sham (l’ex Fronte al-Nusra e braccio siriano di al Qaeda).

Solo il sostegno turco ha permesso a qaedisti e salafiti di resistere tanto alla controffensiva governativa. Ieri l’esercito di Assad ha ripreso la strategica città di Saraqeb, sulla direttrice Aleppo-Damasco, tornata in mano alle opposizioni pochi giorni fa; poco dopo unità della polizia russa sono entrate in città, riporta Mosca in una nota, rendendo ormai quasi impossibile una nuova avanzata turca.

Con la battaglia che impazza anche Damasco tenta la carta della comunità internazionale, a cui si rivolge indirettamente tramite fonti del ministero degli esteri citate dall’agenzia Sana: al mondo Assad chiede di «condannare l’aggressione» della Turchia colpevole di «sfruttare le sofferenze dei siriani per ricattare» l’Europa. Sofferenze senza soluzione di continuità dal 2011.