Al peggio non c’è mai fine in Libia. L’ultimo triste capitolo di violenze nel Paese si è registrato ieri nei pressi di Sebha (a sud del Paese) tra il gruppo ribelle ciadiano Fact (Fronte per l’alternanza e la concordia del Ciad) e la Brigata Tariq bin Ziyad (legata al generale cirenaico Khalifa Haftar). Secondo il Fact, la Bin Ziyad li avrebbe attaccati al confine tra i due stati con il sostegno delle milizie mercenarie sudanesi e con la supervisione delle forze speciali dell’esercito francese stanziate in Libia con l’obiettivo (non raggiunto) di catturare il loro leader Mahmat Mahdi Ali.

In un comunicato, il Fact ha parlato di 11 vittime tra gli «aggressori» e 4 nel loro schieramento. «La Francia non solo viola e disprezza la nostra sovranità imponendo e sostenendo il Consiglio militare di transizione (al potere in Ciad dopo l’uccisione ad aprile per mano proprio del Fact del presidente Deby, ndr) – si legge nella nota – ma infrange anche il principio del cessate il fuoco annunciato la scorsa primavera».
Diversa la versione della Brigata bin Ziyad che fa capo all’Esercito nazionale libico (Enl) di Haftar e in cui serve suo figlio Saddam. «Decine di mercenari sono stati eliminati nel sud ovest del Paese mentre stavano compiendo atti criminali in territorio libico. Le operazioni continueranno fino a quando non saranno eliminati tutti i gruppi terroristici».

La propaganda bellica non può però nascondere quello che sembra essere stato finora un palese flop militare della Brigata: non solo è stata respinta al confine, ma il capo dei ribelli ciadiani Alì non è stato eliminato. Al di là della retorica tra le parti, comunque, va segnalato il ruolo ipocrita della Francia: se da un lato, infatti, Parigi parla di sostegno al «processo di pace in Libia» insieme all’Unione europea, dall’altro alimenta in modo coloniale i conflitti interni e regionali.

Ma c’è un altro importante tema politico nello scacchiere libico: il notevole peso che continua ad avere Haftar, ritenuto da molti finito dopo la fallimentare offensiva anti-Tripoli (2019-2020). Haftar non solo non è stato sconfitto, ma è quanto mai attivo in questa fase: se l’altro ieri era al Cairo dal suo alleato egiziano, a breve, scrive il quotidiano saudita Sharq al-Awsat, volerà negli Usa in cerca di sostegno per le previste presidenziali del 24 dicembre a cui sembra intenzionato a candidarsi.

A muoversi diplomaticamente è anche l’Italia. Martedì il ministro degli Esteri Di Maio alla Farnesina ha ribadito il convinto sostegno del governo Draghi alla «stabilizzazione della Libia» al vicepresidente del Consiglio presidenziale libico al-Lafi. Con ilquale ieri il ministro allo Sviluppo Economico Giorgetti ha discusso di cooperazione in tema di infrastrutture ed energia. Domenica, inoltre, l’Italia, insieme ai 3 membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Usa, Francia e Regno Unito) e Germania, aveva pubblicato una dichiarazione in cui esortava le parti libiche a non rimandare o contestare le elezioni di dicembre.

Ma intanto la bozza di legge presidenziale del presidente del parlamento di Tobruk Aguilah Saleh l’8 settembre scorso è stata giudicata «irricevibile» dall’Alto Consiglio di Stato libico (una specie di Senato con sede a Tripoli). C’è poi un altro problema: 45 deputati hanno chiesto di revocare la fiducia al Governo di Unità nazionale (Gun) del premier Dabaiba. Intervistato dal quotidiano al-Raed, il parlamentare Ouhaida ha alzato il numero di dissidenti a 90. Non è ancora la maggioranza necessaria per far cadere l’esecutivo (fissata a 95 sui 188 complessivi del parlamento), ma la notizia è di per sé indicativa del clima di tensione e lacerazione in cui vive il Paese.