Notizie frammentarie, contraddittorie arrivano da Idlib teatro dell’offensiva lanciata nei giorni scorsi dall’esercito siriano contro le forze qaediste e jihadiste che controllano questa provincia nordoccidentale, di fatto un protettorato della Turchia. Sarebbe fallita la controffensiva lanciata da Hay’at Tahrir al Sham (Hts), il ramo siriano di al Qaeda, e da altre formazioni islamiste armate per recuperare i territori perduti nei giorni scorsi lungo la linea del fronte nella valle dell’Oronte. Una nuova debacle che, unita alla perdita giovedì dell’importante e simbolica città di Qalaat al Madiq, probabilmente permetterà all’Esercito siriano di continuare, con la copertura aerea delle forze russe, l’avanzata verso l’altura di Tal Sakher di alto valore strategico. Secondo altre fonti invece Hts e i suoi alleati sarebbero riusciti a piegare la linea di difesa governativa e a riprendere Kafr Naboudeh con l’impiego di migliaia di uomini. Si parla inoltre di una alleanza militare raggiunta da tutti i gruppi armati anti-governativi riuniti a Idlib, l’ultima zona della Siria che resta nelle mani delle forze cosiddette “ribelli”, alcune delle quali sostenute dalla Turchia, schierate contro il governo di Damasco e il presidente Bashar Assad.

All’incertezza dei bollettini militari si contrappone l’indubbio dramma di circa 25mila famiglie, equivalenti a 150mila civili, coinvolte nei combattimenti e nei bombardamenti aerei e costrette a fuggire. Le organizzazioni umanitarie internazionali che operano a Idlib mettono in guardia da una crisi umanitaria che potrebbe rivelarsi persino peggiore di quella di Aleppo che ebbe fine solo quando l’esercito governativo nel dicembre 2016 costrinse il ramo siriano di al Qaeda ad arrendersi e ad uscire dalla zona est della città. Medici senza frontiere, che a Idlib gestisce ospedali da campo e cliniche mobili, riferisce che gli sfollati «hanno trovato riparo in campi informali, dove vivono in condizioni di sovraffollamento e in mancanza dei servizi essenziali». Aggiunge che i pazienti che si rivolgono alle sue cliniche raccontano di bombardamenti aerei russi violenti che colpirebbero non solo le postazioni dei miliziani ma anche abitazioni civili, moschee ed edifici pubblici. Forte preoccupazione è stata espressa dal presidente della commissione d’inchiesta dell’Onu per la Siria, Paulo Pinheiro, che parla di «una tragedia umanitaria che non possiamo descrivere». Sulla situazione a Idlib ieri, alle 16 ora italiana, si è riunito a porte chiuse il Consiglio di Sicurezza dell’Onu su richiesta di Kuwait, Germania e Belgio.

In queste ore è ripreso il coro di accuse che già l’anno passato aveva accompagnato l’offensiva governativa su Idlib, poi cessata con la tregua raggiunta a settembre dalla Turchia e dalla Russia e che, in sostanza, aveva messo questa regione sotto il controllo di Ankara (che vi mantiene una dozzina di postazioni militari di osservazione). E ancora una volta gran parte dei media occidentali punta il dito contro «il regime di Bashar Assad». Pochi ricordano che le violazioni dell’accordo del 2018 da parte di qaedisti e jihadisti sono state quotidiane nelle ultime settimane e che parti dell’intesa russo-turca non sono mai state attuate, a cominciare dal ritiro dalle linee di demarcazione dei miliziani di al Qaeda. Doveva occuparsene Ankara ma non è mai avvenuto. Così come non sono mai state riaperte due importanti autostrade che passano per i territori sotto il controllo di Hts, la M4 e la M5, vitali per riallacciare le comunicazioni tra la città mediterranea di Latakia, che ospita la principale base aerea russa, con Hama e Aleppo. Le violazioni del cessate il fuoco sono state molteplici di recente. Lo scorso aprile al Qaeda, partendo proprio dalle sue basi ad Idlib, ha ucciso 22 soldati e militanti filo governativi in un blitz nella confinante regione di Aleppo.

Si sottolineano, giustamente, i pericoli per i circa 3 milioni di civili – 130 dei quali sono o sarebbero stati uccisi dai bombardamenti, riferiva ieri la giornalista Zeina Khodr di al Jazeera – ma non si ricorda mai che ci sono decine di migliaia i miliziani armati in Idlib. Nel 2017 fu lo stesso inviato speciale degli Stati Uniti Brett McGurk a descrivere la regione come «il più grande rifugio sicuro di al Qaeda dall’11 settembre». Eppure i media italiani, anche importanti agenzie di stampa, continuano a descrivere jihadisti e qaedisti semplicemente come «insorti».