Il governo siriano vuole riprendersi Aleppo. Una città in macerie che resta però la capitale commerciale del paese, la cui perdita – per Damasco – fu una sconfitta politica delle peggiori. Da 3 anni Aleppo è divisa a metà: il 40%, a ovest, è ancora controllato da forze fedeli al governo; la parte est è caduta prima nelle mani dei ribelli moderati dell’Esercito Libero Siriano e oggi è spartita tra gruppi moderati e islamisti, a partire da al-Nusra.

L’intervento aereo russo è arrivato al momento giusto per Damasco: con 150mila milizie sciite provenienti da Iran, Libano e Iraq che hanno permesso di non perdere terreno lungo il confine con il Paese dei Cedri e con un Assad che manteneva le posizioni ma non riusciva a contrattaccare, le bombe sganciate dai jet russi hanno garantito al governo di uscire dalle proprie roccaforti e puntare al nord ovest del paese.

A qualche giorno dal lancio dell’operazione via terra – a cui partecipano anche migliaia di combattenti di Hezbollah e pasdaran iraniani – l’esercito siriano guadagna posizioni: ha ripreso una serie di villaggi a sud e avanzato lungo l’autostrada Aleppo-Damasco. Ha anche assunto il controllo di una delle strade a nord, che conducono verso il vicino confine turco, punto di passaggio preferenziale per i ribelli per l’approvvigionamento di armi.

La battaglia si svolge fuori, nelle campagne intorno alla città, con le forze governative che spingono verso il cuore di Aleppo. L’obiettivo è chiaro: ripulire una comunità strategica della presenza degli islamisti di al-Nusra e Ahrar al-Shams (che perderebbero così una delle loro roccaforti e quindi terreno di fronte all’avanzata del gruppo rivale, l’Isis) e dei moderati, ormai militarmente presenti solo ad Aleppo. A quel punto, ripreso il nord ovest, il governo potrebbe concentrarsi sul nord est, dove a governare è lo Stato Islamico per ora non troppo toccato dai raid russi.

La conseguenza immediata è l’ennesimo esodo di civili: sarebbero 70mila i siriani residenti ad Aleppo ad aver lasciato la città per il timore di nuovi scontri. Interi villaggi sono vuoti, migliaia di famiglie si sono messe in cammino senza portarsi dietro nulla. Si aggiungono agli 11 milioni di civili fuggiti dal conflitto: 4 milioni all’estero, 7 sfollati interni.