Con un bilancio di vittime che ha ormai superato quota 300 e mentre sono in arrivo altri mille soldati di rinforzo, la battaglia della città di Ghazni – nell’Afghanistan centrorientale – entra oggi nel suo quinto giorno di guerra.

Sin da sabato le notizie su quella che appare come l’ennesima prova di forza delle milizie talebane, sono state confuse e intermittenti, con voci e rumori sulla situazione poco rincuoranti e con rassicurazioni governative che, dopo i toni trionfalistici dei primi due giorni, sembrano ora più caute e realistiche. Con l’ammissione da parte di Kabul di essere stata colta di sorpresa.

In una conferenza stampa il ministro dell’interno Wais Ahmad Barmak ha tracciato il bilancio ufficiale: 70 almeno le vittime tra le forze di sicurezza (100 secondo altre stime), in gran parte poliziotti; almeno 20 i civili uccisi; 194 i guerriglieri ammazzati, in parte anche da raid aerei degli americani – almeno nove – che avrebbero mandato pure commando di terra.

I talebani sono asserragliati in diverse aree della città, mescolati ai civili e ancora in grado di fare danni e incendiare obiettivi militari. Ma, secondo il governo, la città resta sotto controllo soprattutto nelle sue strutture nevralgiche e strategiche ed è quindi solo questione di tempo.

L’ufficio dell’Onu a Kabul per gli affari umanitari dipinge però una situazione che va deteriorandosi sempre di più per i civili intrappolati in questa capitale di provincia da 270mila abitanti: scarseggiano le medicine, le strade sono interrotte, i telefoni non funzionano, uscire è estremamente rischioso e le vittime potrebbero essere ben di più che le 20 citate dal governo: un bilancio che, insegna l’esperienza, sembra fortemente per difetto.

L’attacco talebano, che sembra ripetere l’exploit di Kunduz nel 2015 quando a sorpresa la città del nord fu conquistata per alcuni giorni dalla guerriglia, ha messo in ridicolo il generale americano John Nicholson (al comando delle truppe Usa e Nato in Afghanistan dove verrà sostituito da Austin Scott Miller) che a marzo si era detto convinto che i talebani non avrebbero attaccato città importanti ma si sarebbero dedicati solo ad attentati terroristici. Ghazni sembra invece dimostrare, in un momento delicato, che la guerriglia può dimostrarsi forte anche in vista di una trattativa.

A luglio e agosto, un militare e una diplomatica americani – il colonnello in pensione Chris Kolenda e l’ambasciatrice Robin Raphel – hanno incontrato a Doha i talebani. Senza emissari del governo di Kabul o di Islamabad. Aprendo quindi il canale ufficiale che la guerriglia ha sempre chiesto.

Ma, a maggior ragione – se è vero che i turbanti avrebbero persino dimostrato la flessibilità necessaria ad accettare che, a fronte del ritiro delle truppe, alcune stazionino nel Paese in forma ridotta – ora bisogna mostrare i muscoli.

Ne fa le spese una città importante (con una forte minoranza hazara sciita) sulla strada che da Kandahar porta a Kabul da cui dista 150 chilometri.