Batosta», «disastro», «sconfitta secca». Nelle diverse case della Sinistra stavolta proprio nessuno nasconde la durezza del responso elettorale. Né potrebbe. I 469.884 voti, che corrispondono all’1,8 per cento dei votanti, sono quasi la metà del milione 108 457 voti (il 4,03) con cui nel 2014 la lista L’Altra Europa per Tsipras aveva acciuffato il quorum e tre europarlamentari. Hanno pesato i ritardi: «Siamo arrivati alle soglie della scadenza della presentazione delle liste, ma perché fino all’ultimo abbiamo fatto tentativi di inclusione: De Magistris, Potere al Popolo, Diem, Possibile, Verdi», spiega Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista. «E certo la sinistra non veniva da un anno facile», aggiunge. Il riferimento è alle divisioni, prima e dopo il voto del 4 marzo 2018, da quella del Teatro Brancaccio a quella di Pap e quella di Leu. E ancora: «La lista non è riuscita a presentarsi come progetto nuovo, plurale e come una proposta autonoma forte. Non ha retto l’impatto del “voto utile” né ha attratto i delusi del M5S». Secondo Paolo Ferrero, ex segretario del Prc, vicepresidente del Partito della sinistra europea e candidato nel Nord ovest, «siamo rimasti un fenomeno politico, pochissime persone – e solo tra quelle già politicizzate – hanno riconosciuto la lista come utile, come strumento per cambiare la realtà». Il risultato italiano, va anche detto, come attenuante o forse aggravante della situazione, si inserisce in un quadro di sconfitta della sinistra europea. Il Gue/Ngl passa da 52 eurodeputati a 38. «Il falso scontro tra “europeisti” e “sovranisti” ha penalizzato un po’ tutte le sinistre europee, tranne l’exploit dei partiti portoghesi, che sommati arrivano al 15 per cento. In Francia Mélenchon e Pcf scendono al 9, anche la Linke tedesca cala. Ma certo il risultato italiano è il più basso», spiega Acerbo.

Malissimo, dunque. Ma non è «la fine del mondo», secondo Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana e candidato al centro, in prima fila nella campagna elettorale (anche troppo per alcuni, ma la polemica interna è fortunatamente morta lì). Non è neanche la fine del piccolo mondo della sinistra radicale faticosamente rimasta in campo. Oggi Si e Prc riuniscono la segreteria. Giovedì si riunirà il coordinamento della lista. Ma stavolta, giurano tutti, non partirà il cupio dissolvi. C’è chi dice che del resto non c’è più molto da sfasciare. Ma potrebbe essere solo una battuta, persino ottimista.

Intanto l’appuntamento per l’assemblea del 9 giugno a Roma resta convocato. «Il nostro risultato è sotto tutte le attese. Ci ho messo la faccia e non posso certo negarlo», spiega Fratoianni. «Detto questo per serietà, del risultato delle urne preoccupa soprattutto il fatto che la Lega con Fratelli d’Italia e Forza Italia, se li si somma, siano al 50 per cento. È questo il segno principale del voto, oltre al fatto che i 5 stelle hanno preso un colpo significativo». E dire come fa Nicola Zingaretti che questo voto rilanci il bipolarismo fra destre e centrosinistra «è quantomeno azzardato. Quella che non si vede è una alternativa. Serve inventare quadro del tutto nuovo. Serve coraggio. Serve un nuovo schema». Per esempio lanciare un amo al tramortito 5s. Ma Zingaretti rilancia un ’nuovo’ centrosinistra. E fin qui, preoccupato dai ‘suoi’ moderati, non si è neanche rivolto a questa sinistra. Non sembra una sua priorità. Ma se lo diventasse, nelle vicinanze delle politiche? E che ruolo avrebbero i tanti civici, più donne che uomini, dell’associazionismo che si è attivato?

Per Ferrero il nuovo schema è su due mosse, che però sono due grandi classici che in altre circostanze non si sono rivelati risolutivi: «Non disperdere la rete costruita, trasformarla in un progetto di un polo della sinistra antiliberista», che – secondo – «ridia senso all’esistenza della sinistra nella crisi italiana. Quali soluzioni indichiamo?, sapendo che il senso comune ha assorbito la vulgata liberista». Non ha dubbi neanche Eleonora Forenza, eurodeputata uscente e più votata della lista: «La sconfitta è senza attenuanti. Ora occorre interrompere la coazione a ripetere sempre gli stessi errori». Gli errori sono le rotture. Avanti con «La sinistra» dunque: al mezzo milione di votanti «non si può continuare a chiedere di supportare un nuovo simbolo ad ogni tornata elettorale».