Qualunque sarà l’esito delle elezioni presidenziali di oggi, per Alexander Lukashenko, presidente e padre-padrone della Bielorussia da ormai 26 anni, niente sarà più come prima. Nato a Kopys 66 anni fa, il leader slavo divenne direttore di una farm statale durante la perestrojka prima di iniziare la sua carriera politica come deputato del soviet supremo bielorusso e fondare il Partito dei comunisti per la democrazia. Suo vanto è di essere stato l’unico parlamentare a votare contro la dissoluzione dell’Unione sovietica nel 1991,

Nel 1994 vince a sorpresa le elezioni presidenziali al ballottaggio sulla base di un programma anti-privatizzazioni. Successivamente viene rieletto alla giuda del paese altre 4 volte con percentuali «bulgare» ma gli oppositori lo hanno accusato spesso il suo staff di brogli e indebite pressioni sugli altri candidati. Lukashenko è anche nel mirino di Amnesty International e di altre organizzazioni umanitarie internazionali per l’incarceramento di numerosi leader sindacali e la persecuzione delle persone Lgbt. Tuttavia «Batka» («Paparino») come viene ironicamente chiamato dai suoi concittadini, è stato a lungo popolare in Bielorussia grazie all’indubbia capacità di garantire stabilità economica e sociale. Gli ottimi rapporti con Putin, durati però solo fino a qualche mese fa (e sempre bilanciati però da un buon vicinato con gli altri paesi ex-sovietici compresi i leader ucraini post-Maidan) gli ha dato la possibilità di avere campo aperto nell’esportazione verso la Federazione soprattutto di latticini e calzatura ricevendo in cambio petrolio a prezzi stracciati spesso rivenduto a paesi terzi. Malgrado proclami la sua adesione al mercato, l’economia è rimasta in buona parte sotto il controllo statale facendo guadagnare al paese l’appellativo di «Corea d’Europa». Il controllo di buona parte del sistema finanziario e un sistema nepotistico di potere che ha portato ai massimi vertici dello Stato figli e parenti sono stati gli strumenti ulteriori con cui si è assicurato la straordinaria longevità politica.

Quando qualche mese fa ha indetto le elezioni presidenziali in piena estate nessuno ha dubitato della sua rielezione. Ma la cattiva gestione della crisi Covid-19, l’emergere di un grande movimento popolare anti-corruzione e le sirene dei presunti successi economici della vicina Polonia, hanno condotto l’eterno presidente in un vicolo cieco, da cui difficilmente uscirà indenne.