«I voucher sono sempre più diffusi nei comuni, ma anche nelle amministrazioni centrali. Basta mettere sul motore di ricerca “comune voucher” ed esce tutta una sfilza di annunci di lavoro. Tutti riservati a voucheristi». La segretaria generale della Fp Cgil, Serena Sorrentino, presenta l’assemblea che si terrà questa mattina a Roma – #effepiù – con i delegati del pubblico impegnati a discutere di contratti e referendum. Una consultazione, quella sui ticket lavoro e sugli appalti, che li tocca da vicino.

Gorizia, Napoli, Legnano, Canonica D’Adda… In effetti non si deve faticare troppo per scovare chi cerca voucheristi. Ma per cosa li impiegano?

Si va dai mediatori linguistici a quelli culturali, fino agli addetti alla raccolta differenziata. Spesso non sono prestazioni accessorie ma attività fondamentali del comune, il che ci fa pensare che si sostituisca occupazione stabile.

Sapete quanti comuni e amministrazioni pubbliche utilizzano i voucher?

Siamo in polemica da tempo con l’Inps perché nonostante nostre precise e ripetute richieste ci nega questi dati. Da quel che ricostruiscono i nostri delegati sui territori, è un fenomeno in forte aumento.

L’Inps quindi nega l’accesso a dati che dovrebbero essere pubblici? In ogni caso, come sindacato siete per la totale abolizione dei voucher, via referendum. E sono uscite le motivazioni per la bocciatura del quesito sull’articolo 18.

Le motivazioni devo ancora leggerle. Comunque i quesiti su voucher e appalti sono molto importanti. Intanto per fare pressione sul Parlamento, perché si approvi la proposta di legge sulla Carta dei diritti universali del lavoro. E poi perché, come in parte ho già spiegato, anche nel nostro settore questi sono strumenti molto utilizzati, e che generano abusi. Una buona parte della sanità è ormai esternalizzata, attraverso la somministrazione o gli appalti alle cooperative.

Sulla sanità un vostro recente dossier parla di 50 mila posti in meno negli ultimi sette anni. Come si dovrebbe affrontare con queste basi il recente riordino dei Lea, i livelli essenziali di assistenza?

Abbiamo utilizzato i dati del Conto annuale della Ragioneria dello Stato. Dal 2009 al 2016 si sono persi – a causa del blocco del turn over e dei tagli – ben 250 mila posti in tutto il pubblico impiego, 50 mila nella sola sanità E parliamo di 8 mila medici, 10 mila infermieri, 2 mila ausiliari.

L’ultima legge di stabilità non aveva rilanciato le assunzioni proprio in sanità?

Sì, e ha dovuto farlo perché noi ci siamo rifiutati di firmare la deroga agli orari disposti dalla legge. Sono state stanziate risorse per assumere 7 mila persone, ma secondo i nostri calcoli il fabbisogno della sanità nazionale nei prossimi due anni sarebbe di almeno 5 volte maggiore: 35 mila.

Dopo le scene viste al pronto soccorso di Nola, con gli ammalati curati sul pavimento, pensare che il governo vi proponeva di appesantire gli orari di medici e infermieri fa venire i brividi. Quindi i Lea per ora sono a rischio?

Aver riordinato i Lea è stato un bene, ma ora chiediamo che si verifichi la presenza delle competenze e professionalità necessarie a realizzare obiettivi oggi più ambiziosi. Ricordiamo che secondo il Censis ben 11 milioni di italiani rinunciano alle cure: vuol dire che parte della sanità pubblica è diventata di fatto inaccessibile.

Un altro nodo che si è rivelato debole, dopo il maltempo e i terremoti, è la protezione civile. Perché funziona male?

Da tempo chiediamo l’intero sistema sia integrato: oggi la Protezione civile fa capo alla Presidenza del consiglio, i vigili del Fuoco agli Interni, e poi ci sono gli enti locali e le prefetture. Manca una regia unica. Ma anche una gestione che funzioni nell’ordinario: a ogni evento calamitoso, in italia praticamente ogni tre mesi, si parla di decreti di urgenza, poteri straordinari, commissari. Non si fa altro che perdere tempo prezioso, in questo modo, si perde in efficienza e ci si affida alla volontà dei singoli.

Alcune strade, ad esempio in Abruzzo, avrebbero dovuto essere prese in cura dalle province. Che fine hanno fatto?

Appunto, il paradosso è che dopo la bocciatura della riforma proposta da Renzi, il 4 dicembre scorso, le province esistono ancora, ma vengono fuori da due anni di sottofinanziamento, con 20 mila dipendenti costretti alla mobilità. La riforma Delrio aveva messo in conto che vincesse il Sì: ma non è accaduto, è adesso urgente riassegnare competenze, personale e finanziamenti.

Infine c’è il nodo dei contratti. Possiamo sperare che l’accordo firmato il 30 novembre, a quattro giorni dal referendum, adesso sia realizzato dal governo Gentiloni?

Noi aspettiamo il dpcm che dovrebbe ripartire gli aumenti: ci è stato assicurato che arriverà entro marzo, e che la media mensile sarà di 85 euro. Segnaliamo intanto che le forze dell’ordine hanno perso – per motivi che francamente non comprendiamo – gli 80 euro già da gennaio. Abbiamo ottenuto la proroga di un anno degli attuali 42 mila contratti precari, e l’impegno alla risoluzione della loro situazione. Anche perché se parliamo delle collaborazioni, va detto che il Jobs Act le aveva eliminate già a partire dal primo gennaio 2017, e che la proroga ha rinviato questa scadenza al gennaio 2018: speriamo dunque che questo personale possa essere finalmente stabilizzato.