Mentre si è appena conclusa la Conferenza di Berlino sul conflitto in Libia, nessun accenno sulla sorte della vita di migliaia di profughi detenuti e respinti dalla guardia costiera libica, finanziata e attrezzata dall’Italia. Solo nelle prime due settimane del 2020, 953 migranti, tra cui 136 donne e 85 bambini, sono stati riportati in Libia (fonte Oim). La maggior parte di loro è stata reclusa nei centri di detenzione : rimandata a torture e abusi sicuri, alla morte per annegamento nel caso tenti ancora di fuggire dalla guerra civile, o all’uccisione arbitraria per strada o nei lager (Amnesty International). Persone di cui non conosceremo probabilmente mai il nome.

La macchina del crimine pianificato è ormai perfettamente efficiente e l’eliminazione di una parte di quella parte di umanità – diventata bersaglio, identificata con la generica categoria dei «migranti» – è ormai diffusamente “accettata” dall’opinione pubblica europea. In solo tre anni, dal 2016 al 2019, circa 20.000 bambini, donne e uomini sono annegati nel Mediterraneo (Iom) e circa 50.000 civili sopravvissuti forzatamente respinti in Libia (Ispi).

Quale giustificazione dare al silenzio stampa sulla sentenza di Palermo del Tribunale Permanente dei Popoli, che, nel 2017, aveva già giudicato «crimine di sistema» e «crimini contro l’umanità» da parte dell’Italia e degli Stati membri?

A maggiore ragione, come accettare il silenzio tombale (a parte recentemente su questo giornale e Left ) sul dossier inviato alla Corte Penale Internazionale (Cpi) da un team di avvocati internazionali che accusa Unione europea e Stati membri di «crimini contro l’umanità» e di complicità in «persecuzione, deportazione, schiavitù, stupro, tortura e altri atti inumani» per via dei respingimenti e dei crimini per procura?

La gravità dell’accusa depositata presso la Cpi è stata discussa martedì 21 gennaio alla Ecole des Hautes Études de Paris (Ehess) con gli autori dell’esposto, la cui tesi comprova l’intenzionalità e la consapevolezza da parte di alcuni funzionari e politici dei paesi membri e delle istituzioni comunitarie per le conseguenze (letali) delle loro scelte nella creazione della rotta migratoria più letale del mondo e nei respingimenti sistematici in Libia.

Si tratta in realtà di un crimine strutturale che riguarda tutti noi, finanziato e messo in atto da leggi vigenti e dalle nostre stesse tasse, utilizzate in parte per permettere gli orrori e gli abusi della guardia costiera libica. È ora di attivare presidi territoriali, in cui informare, discutere, elaborare, fare un’operazione diffusa culturale non rituale, su un tema ostinatamente ancora così opaco nella coscienza civile.
Il manifesto potrebbe essere il giornale portatore di questa coscienza collettiva e, grazie alla rete dei suoi Comitati di lettori, lanciare un appello ad un vasto movimento di disobbedienza civile per non rendersi, in quanto cittadini italiani e europei, complici di questo odierno sterminio dei migranti sui nostri confini.