I messaggi che arrivano dalla direzione di Forza Italia non sono messaggi di rottura, nonostante i toni. Tutt’altro. Ma Matteo Renzi continua nella politica degli ultimatum erga omnes. «Il tempo dei rinvii, dei tavoli tecnici, dei gruppi di lavoro è finito. Ora è tempo di decidere #lavoltabuona», twitta. Ce l’ha con il Cavaliere, ce l’ha con la minoranza interna che sta rimbullonando i suoi sfilacciamenti, ce l’ha con il popolo dei social soprattutto, futuri elettori.
La riunione della direzione di stasera ha un ordine del giorno molto ampio per i sette minuti di intervento di ciascun componente: legge elettorale, riforme, delega lavoro, legge di stabilità, prospettive del governo. «Protesterò perché non c’è anche la situazione internazionale e i nostri compiti», scherza Alfredo D’Attorre. Ma non è uno scherzo: la «situazione internazionale», intesa come europea, stasera rà il convitato di pietra. Il rapporto della Commissione sugli squilibri macroeconomici dell’Italia è un testo scritto con piglio renzi-scettico: lo slancio delle riforme «è aumentato, ma i progressi non sono uniformi», vi si legge, molte riforme «devono essere ancora pienamente adottate o aspettano i decreti attuativi e quindi i risultati restano incerti», gli effetti «saranno ritardati e ridotti se i numerosi colli di bottiglia istituzionali, gli ostacoli all’attuazione delle riforme e le deboli capacità di applicazione non saranno affrontati in via prioritaria».

È la fotografia di un governo che, forte dell’asse con Forza Italia, ha fatto professione di velocità e ristretto il lavoro (e il ruolo) del parlamento imponendo ben 27 voti di fiducia, «torrente impetuso» contro «palude» che adesso si trova nel pantano. Il rischio di logoramento è dietro l’angolo, già qualche sondaggio indica zone di freddo nell’elettorato potenziale. La settimana sarà emblematica. Giovedì la capigruppo della camera cercherà di anticipare il jobs act, ma questo significherebbe stringere i tempi alla commissione lavoro. E lì c’è il presidente Cesare Damiano che ogni giorno ripete come un rosario: «Sul Jobs Act non accettiamo l’idea di far passare con un voto di fiducia il testo uscito dal senato: chiediamo delle correzioni». Le risorse sugli ammortizzatori sociali, la riduzione del danno sull’art.18 e sui demansionamenti sono il minimo sindacale chiesto dalle sinistre Pd. Che scoprono ogni giorno qualche defezione nelle proprie file, e quindi tentano di riunificarsi almeno nell’azione parlamentare: riformisti già bersaniani (che sabato lanceranno con Bersani, Martina e Speranza e Epifani le proprie proposte a Milano), cuperliani di SinistraDem. Persino Civati resta della partita, nonostante nel week end sia impegnato con una iniziativa delle sinistre europe coté Tsipras. L’ultima settimana di novembre in ogni caso va in aula la legge di stabilità. Non sarà una passeggiata: ieri in commissione sono stati cancellati perché inammissibili 1600 emendamenti. Ma ne restano 2100.

Quanto alla legge elettorale, in partenza al senato, la sinistra Pd promette fuoco di fila. Il nuovo Italicum, uscito dalla prima riunione di maggioranza del governo Berlusconi (un tavolo lungo che ha poco da invidiare ai tempi dell’Unione di Prodi), con lo sbarramento al 3 per cento (che piace ai piccoli partiti) e i capilista bloccati, non basta alla minoranza. Spiega D’Attorre: «Non possiamo accettare passi indietro e togliere ai cittadini quello che la consulta gli ha restituito, e cioè la possibilità di scegliersi il proprio rappresentante. Una legge elettorale c’è, il Consultellum, risponde al vaglio di costituzionalità e democraticità». Come dire: al voto, se è questa l’intenzione di Renzi, si vada con il proporzionale. La ministra Boschi sfodera un vocabolario da vigilia di scontro: «È un po’ particolare che alcuni nostri colleghi che fino a un anno fa criticavano le preferenze adesso le sostengano», dice in serata al Tg3, e vanno bene i suggerimenti «ma non può essere la minoranza a scrivere la legge elettorale». La legge si cambia, purché non se ne stravolga l’impianto, ha detto Renzi nel vertice notturno. «È da interpretare cosa si intenda per «impianto della riforma», puntualizza Andrea Giorgis, il senatore della minoranza che prepara gli emendamenti in commissione. «Secondo noi con ’impianto’ si deve intendere il carattere non elettivo del senato. Fermo restando questo tutto il resto è modificabile». Quindi sull’Italicum versione post Nazareno l’opposizione interna si dà ancora un vasto programma. Per questo Renzi stasera vuole farsi votare il nuovo accordo uscito dalla riunione di maggioranza: per avere un testo che vincoli i senatori. Anche se quello del ’vincolo’ è un concetto che nel Pd condannato a restare unito, sta diventando un concetto sempre più volatile.