«Noi non siamo incazzati con il governo Renzi: siamo stra-incazzati». Se parli con i poliziotti riesci a capire come in poche ore, nel pomeriggio di ieri, sia montata la rabbia di tutto il comparto forze dell’ordine, fino a minacciare – per la prima volta nella storia italiana – uno «sciopero generale» di polizia, carabinieri, vigili del fuoco, esercito, marina, aeronautica e guardia di finanza. Annunciato dai sindacati e dal Cocer interforze.

In serata il premier Renzi ha risposto: «Riceverò gli agenti di polizia, ma non accetterò ricatti», ha detto. È ingiusto, ha aggiunto, scioperare per un aumento di stipendio quando ci sono milioni di disoccupati.

Nel mirino della protesta, il blocco dei contratti del pubblico impiego annunciato dalla ministra Marianna Madia due giorni fa. In realtà, queste forze non hanno il diritto di scioperare, ma assicurano che troveranno delle formule per arrivare al massimo impatto possibile. Perché si parli di loro e delle loro condizioni di lavoro, ormai al limite: la stessa parola «sciopero generale» è stata usata apposta, perché “bucasse” l’informazione.

La protesta ieri è montata improvvisamente, mentre parallelamente si facevano sentire anche gli altri settori del pubblico impiego, che pure annunciano iniziative. Ma forse perché più “compresse” in strette maglie di disciplina, le forze dell’ordine sono esplose: prima hanno annunciato il blocco degli straordinari i poliziotti di Bologna, poi è arrivata la nota nazionale, con l’annuncio di uno
«sciopero generale entro fine settembre».

Lo si farà probabilmente nella forma di una grande manifestazione nazionale, o con l’indizione contemporanea e in tutte le città di assemblee sindacali (ma se la polizia ha diritto a farle, i carabinieri ad esempio non possono usufruire di questa possibilità). «Siamo anche disposti a mandare avanti qualcuno e a farci denunciare», dicono i poliziotti in piena arrabbiatura.

«Per la prima volta nella storia della nostra Repubblica – spiegano nella nota sindacati e Cocer – siamo costretti a dichiarare lo sciopero generale» del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, «verificata la totale chiusura del governo ad ascoltare le esigenze delle donne e degli uomini in uniforme».

«Quando abbiamo scelto di servire il Paese, per garantire Difesa, Sicurezza e Soccorso pubblico – prosegue la nota – eravamo consci di aver intrapreso una missione votata alla totale dedizione alla Patria e ai suoi cittadini con condizioni difficili per mancanza di mezzi e di risorse. Quello che non credevamo è che chi è stato onorato dal popolo italiano a rappresentare le Istituzioni democratiche ai massimi livelli, non avesse nemmeno la riconoscenza per coloro che, per poco più di 1300 euro al mese, sono pronti a sacrificare la propria vita per il Paese».

Daniele Tissone, segretario del Silp Cgil, spiega che la sopportazione della categoria è arrivata al limite, non solo per la mancanza di mezzi e personale, che rende sempre più arduo e rischioso il lavoro, ma per il fatto che gli stipendi sono bloccati da ben cinque anni. E ora si prepara addirittura il sesto.

«Nel 2009 abbiamo avuto l’ultimo aumento contrattuale – afferma Tissone – pari a 130-140 euro lordi in tre anni. Ma a parte il contratto, ci sono stati bloccati, a partire dal 2011, anche gli scatti di anzianità, le promozioni, gli assegni di funzione. In pratica, se sei promosso, assumi ruoli e responsabilità del grado superiore, ma la paga resta ferma». Insomma, negli ultimi quattro anni, per questi ulteriori blocchi, alcuni poliziotti sono arrivati a perdere anche 300 euro netti al mese. Mica bruscolini.

Dalle forze dell’ordine la protesta potrebbe allargarsi all’intero pubblico impiego: ieri la segretaria della Cgil Susanna Camusso ha parlato di «blocco incomprensibile dei contratti», e Raffaele Bonanni (Cisl) ha annunciato «mobilitazioni». L’Usb attuerà invece «una guerriglia, con azioni non convenzionali».