Nelle ultime ore gli effetti dell’accordo del nostro governo con la Libia si sono materializzati davanti a tutto il mondo. Prima i 50 morti provocati dal comportamento della guardia costiera libica.

Che cerca di impedire alla nave della Ong Sea Watch di prestare soccorso. Poi la denuncia del Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite che accusa esplicitamente il governo e l’Unione Europea di essere corresponsabili dei crimini che vengono commessi nei lager libici. E ancora, le terribili immagini dei migranti venduti come schiavi, probabilmente dalle stesse milizie con cui ha trattato il ministro Minniti. Da ultimo, la denuncia alla Corte Internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità del generale Khalifa Haftar, uno degli autorevoli interlocutori del ministro.

Un quadro terribile, che conferma la sistematica violazione dei diritti umani nel paese che l’Italia ha rifornito di armamenti e soldi per fermare i flussi migratori.

Salvare i migranti da quell’inferno, interrompere i finanziamenti – trovati attingendo ai fondi per la cooperazione – è ormai un imperativo.

Non ci si può dire preoccupati per le sorti di chi viene ricacciato in Libia e allo stesso tempo finanziarne gli aguzzini.

In questi giorni il nostro Parlamento discute la legge di bilancio, che prevede risorse per la cooperazione allo sviluppo che in realtà vengono utilizzate per tutt’altri fini. In particolare, il Maeci (Ministero affari esteri, Cooperazione internazionale) ha istituito un fondo straordinario per l’Africa per il 2017, con una dotazione di 200 milioni di euro, volto a finanziare interventi di cooperazione allo sviluppo e di controllo e prevenzione dei flussi di migranti irregolari. Fondi che sono stati in parte finalizzati a progetti specifici nei principali paesi interessati dalla rotta del Mediterraneo Centrale – Niger, Libia e Tunisia in particolare –  in parte sono invece transitati per il contenitore europeo dei Fondi Fiduciari per poi arrivare direttamente nelle casse dei Paesi africani coinvolti. Un sistema di vasi comunicanti – sia tra Italia e Europa, che tra il Maeci e il Ministero degli Interni –  che rende ancora più difficile il monitoraggio del loro utilizzo.

È però evidente che l’utilizzo reale del Fondo per l’Africa ha poco a che vedere con l’obiettivo dello sviluppo previsto dalla legge.  Le risorse più ingenti sono infatti quelle stanziate per il contrasto all’immigrazione e il controllo delle frontiere. L’esempio più esplicito del sistema di vasi comunicanti è il fondo allocato per il Niger, con cui questo paese s’impegna a creare nuove unità specializzate necessarie al controllo dei confini. Una militarizzazione delle frontiere che obbliga i migranti a uscire dalle rotte abituali, aumentandone i rischi e trasformando così il deserto, come già il Mediterraneo, in un cimitero a cielo aperto. Il fondo per l’Africa  è dunque diventato lo strumento centrale per l’esternalizzazione delle frontiere, affidando a paesi che violano sistematicamente i diritti umani l’intercettazione dei migranti per deportarli in luoghi dove sono esposti a trattamenti violenti e disumani.

L’esempio più lampante, come riportano le tante denunce documentate, è quello della Libia, per la quale il Maeci stanzia dieci milioni, gestiti dal Ministero degli Interni italiano, che si aggiungono agli altri due milioni e 500mila euro forniti per la riparazione di quattro motovedette assegnate alla guardia costiera libica perché svolga la sua violenta opera di intercettamento e respingimento. Con gli stessi obiettivi, dodici milioni sono stati destinati al governo tunisino per il pattugliamento delle zone costiere e delle frontiere terrestri. Con questo utilizzo dei fondi l’Italia viola le Convenzioni Internazionali, affidando ad altri Paesi i respingimenti sistematici di cittadini stranieri, potenziali richiedenti protezione internazionale.

Chiediamo che sia cancellato l’accordo con la Libia e che le risorse previste per la cooperazione vengano destinate all’aiuto allo sviluppo, come prevede la legge, e non utilizzate per finanziare strumenti di controllo e di militarizzazione delle frontiere africane.

* Francesca Chiavacci è presidente nazionale Arci
* * Filippo Miraglia è presidente Arcs