Da domani sarà in Italia una delegazione di esperti delle Nazioni Unite per testare lo stato di salute dei diritti umani nel nostro Paese. Il gruppo ha il mandato di promuovere l’attuazione dei Principi Guida ONU su imprese e diritti umani e di valutare lo stato di applicazione in Italia. La missione produrrà raccomandazioni al governo e a tutti gli attori rilevanti. In estrema sintesi tali Principi, emanati nel 2011 dopo decenni di tira e molla sul tema sempre spinoso delle regolazione delle attività economiche delle imprese potenzialmente dannose per le persone e l’ambiente, rappresentano al momento la principale cornice internazionale di riferimento per i diversi attori che possono concorrere o ostacolare, seppure in maniera diversa, la piena attuazione dei diritti umani: gli Stati e le imprese. Si basano su tre pilastri: il primo afferma il dovere degli Stati di proteggere i propri cittadini dalle violazioni compiute nel proprio paese da parte di terzi, incluse le imprese. 

Prendiamo la GKN, dove lo scorso 9 luglio 422 lavoratori della fabbrica metalmeccanica erano stati licenziati con una mail senza alcun preavviso dal fondo Melrose, fatto subito impugnato dalla FIOM in virtù dell’art.28 dello Statuto dei Lavoratori. Lo scorso 20 settembre il Tribunale di Firenze ha dato ragione ai sindacati bloccando i licenziamenti per condotta antisindacale. L’organo giudiziario ha contenuto il danno, diversa è la valutazione sull’operato dei decisori politici, e non da oggi. Innanzitutto sul piano della prevenzione di comportamenti antisindacali come questo che, come ci ricorda il Direttore ILO per l’Italia Gianni Rosas, sicuramente sarebbero sfavoriti se l’Italia avvesse ratificato l’attualissima Convenzione 158 sulla risoluzione dei rapporti di lavoro. Poi, volendo aggredire le cause strutturali con misure legislative adeguate a mitigare le dinamiche disumane imposte dalla globalizzaione turboliberista, di certo una legge contro le delocalizzazioni selvagge, sulla base di quella formulata dai giuristi democratici davanti ai cancelli con i lavoratori della GKN, sarebbe urgente per uno Stato che intenda davvero proteggere i propri cittadini dalle insidie del mercato. 

Il secondo pilastro dei Principi Guida affianca al dovere degli Stati, la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani, cioè di prevenire gli impatti negativi delle proprie attività economiche e rimediare, in caso di danno. Ebbene, il tema del contrasto alle delocalizzazioni selvagge non può essere affrontato a senso unico, cioè solo a tutela dei lavoratori italiani offesi dalle aggressioni delle multinazionali estere. Occorre guardare anche in casa nostra e impedire comportamenti analoghi da parte delle nostre imprese all’estero. Cito un caso recente, forse poco conosciuto. Geox, noto marchio italiano di calzature, ha appena lasciato a casa 1.200 lavoratrici a Vranje in Serbia, dove nel 2016 aveva aperto uno stabilimento con i sussidi del governo serbo, almeno 12 milioni di euro. Incontrai all’epoca alcune lavoratrici, il loro caso finì sulla stampa locale perché una coraggiosa caporeparto aveva denunciato che le operaie venivano invitate a usare gli assorbenti per non andare in bagno, oltre a subire numerosi abusi che raccontammo in un rapporto. Geox ha fatto i bagagli questa estate ma, diversamente dalla GKN, non ha trovato ai cancelli lavoratori organizzati e sostenuti dalla comunità. Qui, in una della tante zone franche del mondo dove alle imprese tutto è permesso, è in corso una competizione all’ultimo sangue tra governi impegnati ad attrarre gli investitori, svendendo in primis i diritti dei lavoratori. Si chiamano politiche di moderazione salariale e l’Italia non è da meno.

Una legge contro le delocalizzazioni selvagge dovrebbe quindi anche prevedere che nessun incentivo, sussidio e credito per l’internazionalizzazione deve più andare a imprese italiane che non diano prova di rispettare i diritti umani e sindacali lungo l’intera catena di fornitura. Sarebbe un modo efficace per dare attuazione ai Principi Guida ONU. Le imprese fanno il loro mestiere, alla faccia della retorica sulla responsabilità sociale e sulla transizione. Sono i governi che non fanno il loro, quando antepongono gli interessi degli azionisti a quelli dei cittadini, non adottando misure politiche e legislative adeguate a difenderli. L’Italia non fa eccezione e il Patto per l’Italia lanciato da Bonomi non promette nulla di buono per il futuro dei diritti nel paese.

L’autrice è coordinatrice nazionale Campagna Abiti Puliti