C’è voluto del tempo perché una falsità evidente fosse dimostrata tale «scientificamente». Studi accurati smentiscono l’efficacia della Tcc (Terapia Cognitivo Comportamentale) nella cura del disagio psichico. La psicoanalisi, perfino nelle sue forme più schematizzate che la rendono «empiricamente» verificabile, funziona molto meglio.

Psicoanalisi e Tcc seguono prospettive opposte. Per quanto la differenza tra la grande complessità della prima e la povertà concettuale della seconda scoraggi la possibilità di un confronto, si potrebbe, al prezzo di una forte semplificazione, usare come metro di paragone il loro rapporto con le contraddizioni dell’essere umano. Per la psicoanalisi le contraddizioni sono una qualità intrinseca della natura umana: è necessario mantenerle vive, cercando di liberare il loro potenziale trasformativo, per farne la forza motrice dell’esistenza. Per la Tcc, le contraddizioni derivano da convinzioni irrazionali, creano instabilità psichica e possono essere eliminate con uno sforzo logico, positivo di pensiero.

Com’è stato possibile che una terapia riduttiva, centrata sul presente e sulla conformazione ai luoghi comuni del pensare, fatta di prescrizioni comportamentali e esercizi mentali improbabili, abbia potuto godere, e in parte gode ancora, di una credibilità diffusa? Le risposte non sono confortanti.

In primo luogo, la Tcc, che promette un trattamento della sofferenza psichica in tempi brevi, è stata considerata dai governi intenti a tagliare il welfare più economica della psicoanalisi. La cultura dell’efficienza ha aggiunto ulteriore sostegno a una cura che sprona chi soffre, a non crogiolarsi nelle sue aporie esistenziali e tornare socialmente produttivo.

In secondo luogo, gli esponenti delle «scienze naturali» reagiscono, in maggioranza, in modo autoritario alle incertezze epistemologiche che mettono, necessariamente, in discussione l’infallibilità «geometrica» delle loro concezioni: inseguono l’affermazione della superiorità dei loro metodi, fondati sul calcolo matematico, su ogni altra forma di sapere. Pretendono che ai desideri, alle emozioni, ai sentimenti, ai pensieri e più in generale all’immaginazione e alla creatività umana, venga applicata, come verità superiore, la «logica» delle particelle o della propagazione dell’eccitazione lungo i neuroni.

La pretesa è di per sé assurda, ma solo pochi osano contestarla (tanto è forte la domanda di certezza con cui suppliamo al nostro disorientamento esistenziale). Quando la «verità» sulla natura umana si affida alle scansioni cerebrali, non è strano vedere ammantate di scientificità approssimazioni volgari, che sviliscono la complessità e la bellezza delle costruzioni teoriche delle scienze naturali. La colonizzazione dei territori altrui non fa bene ai colonizzatori.

L’affermazione di uno scientismo ottuso nel campo della cura psichica, ha radici più profonde della presunzione di superiorità degli scienziati «puri e duri». Va incontro alla richiesta collettiva di un effetto «placebo»: l’investimento di un rimedio magico alle proprie difficoltà (quando si dispera di poterne venire a capo con l’impegno personale) che ha un valore «curativo» fuorviante.

L’illusione di stare bene, mentre si continua a stare male, poggia su un oggetto rassicurante che deresponsabilizza il soggetto e porta la sua struttura psicocorporea all’immobilità. Si crea in questo modo un falso senso di stabilità, che ha un effetto calmante.

Questo tipo di cura (non solo del dolore psichico), un adattamento al grigiore, è la mentalità dominante dei nostri giorni: basta credere che funzioni.