Mentre la tensione fra Corea del nord e Stati uniti resta alta, e Kim Jong-un e Donald Trump paventano il ricorso all’atomica, la Santa sede organizza in Vaticano per il 10 e 11 novembre un convegno internazionale dal titolo Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale a cui parteciperanno 11 premi Nobel per la pace (fra cui Beatrice Fihn, direttrice dell’Ican, la campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari), i vertici di Onu, Nato e gli ambasciatori di molti Stati, fra cui gli Usa.

«MA È FALSO PARLARE di una mediazione da parte della Santa sede» fra Nord Corea e Stati Uniti, precisa il direttore della sala stampa vaticana, Greg Burke. Del resto la preparazione dell’iniziativa da parte del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale era cominciata ben prima dell’aumento della temperatura fra Pyongyang e Washington e aveva l’intenzione di sostenere l’adozione, da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni unite (lo scorso 7 luglio con il voto di 122 Paesi), del Trattato sulla messa al bando delle armi nucleari.

Un accordo per la cui firma papa Francesco si era speso direttamente, scrivendo a Elayne Whyte Gómez, che guidava i negoziati. «Se si prendono in considerazione le principali minacce alla pace e alla sicurezza in questo mondo multipolare del XXI secolo, come il terrorismo, i conflitti asimmetrici, le problematiche ambientali, la povertà, non pochi dubbi emergono circa l’inadeguatezza della deterrenza nucleare a rispondere efficacemente a tali sfide», scriveva Francesco. Le preoccupazioni aumentano «quando consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari con devastanti effetti indiscriminati e incontrollabili nel tempo e nello spazio», senza considerare «lo spreco di risorse per il nucleare a scopo militare, che potrebbero invece essere utilizzate per priorità più significative, quali la promozione della pace e dello sviluppo umano». Pertanto, concludeva il papa, «l’obiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari diventa una sfida, un imperativo morale e umanitario».

QUELLO PER IL DISARMO è un terreno sul quale l’impegno di Francesco è stato sempre netto, senza le contraddizioni che si notano in altri campi. Sabato scorso, all’apertura della Settimana sociale dei cattolici, a Cagliari sul tema del lavoro, ha puntato il dito contro quei «lavori che nutrono le guerre con la costruzione di armi», incassando il sostegno del presidente di Pax Christi, mons. Ricchiuti, che ha ricordato «le fabbriche che proprio qui in Sardegna producono bombe che poi l’Italia vende tranquillamente all’Arabia saudita impegnata da anni a bombardare lo Yemen. I lavoratori sono in una sorta di ricatto, proprio per la mancanza di lavoro».

PROPRIO SUL FRONTE ITALIANO, ci sono due iniziative nate dal mondo cattolico di base. La prima del movimento Noi Siamo Chiesa che ha promosso una lettera aperta al card. Bassetti, presidente della Cei, perché i vescovi incoraggino i cattolici alla mobilitazione affinché l’Italia firmi il Trattato sul divieto delle armi nucleari adottato dall’Onu (l’Italia non l’ha votato, allineandosi alla posizione dei propri alleati atlantici, e i grandi media non ne hanno parlato, il Parlamento ne ha discusso «in sbrigative sedute di basso livello, senza che il governo motivasse la sua posizione»). La seconda da parte dei delegati della diocesi di Iglesias alla Settimana sociale (dove ha sede il Comitato riconversione Rwm, la fabbrica che vende le bombe ai sauditi) che in una petizione pubblica chiedono al premier Gentiloni, in questi giorni in visita anche a Ryadh, che «si adoperi per fermare immediatamente l’invio di quegli ordigni» e «per la riconversione della fabbrica a produzioni civili, con piena salvaguardia dell’occupazione».