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“Basta armi a Israele”, in piazza a Londra per la Palestina

“Basta armi a Israele”, in piazza a Londra per la PalestinaLondra per la Palestina – Michelle Sit Aboha

Gran Bretagna Manifestazione ieri nella capitale britannica, in concomitanza con la repressione israeliana delle proteste palestinesi sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme: un messaggio al governo Johnson perché interrompa i rapporti di partenership con Tel Aviv e il flusso da 400 milioni di sterline in armi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 23 aprile 2022

Decine di persone hanno partecipato venerdì a un presidio di fronte all’ambasciata Israeliana contro la vendita di armi da parte del governo britannico a Israele.

La protesta, organizzata con brevissimo preavviso dalla Palestine Solidarity Campaign, si è svolta intorno alle 16 in High Street Kensington per protestare contro la violenza da parte dell’esercito israeliano nei confronti dei palestinesi all’interno della moschea di Al Aqsa lo scorso venerdì 15 aprile (il secondo venerdì di Ramadan) per la preghiera prima del tramonto, durante la quale – secondo The Palestinian Red Crescent Society – più di 150 persone sono state ferite da proiettili di gomma e granate assordanti.

L’ESERCITO ISRAELIANO aveva negato il resoconto dei medici e detto che “gli unici feriti sono stati i soldati israeliani, colpiti da dei sassi lanciati in modo aggressivo”: uno scenario replica della violenza che ha caratterizzato il Ramadan dell’anno scorso nella West Bank, quando più di 200.000 persone scesero per le strade di Londra a protestare.

Ebrei ultraortodossi in piazza per la Palestina a Londra (Foto: Michelle Sit Aboha)

“Per nove mesi l’anno aspettiamo il Ramadan. Per noi rappresenta un periodo di pace e tranquillità. Ma ancora una volta le forze israeliane decidono di rinforzare l’apartheid in territorio palestinese, mancando di rispetto alla santità della moschea di Al Aqsa. Senza considerare quanto siano forti e determinati i nostri occupanti,” ha dichiarato al microfono la CEO della Muslim Association of Britain Raghad Aliktiri.

“Il governo inglese ha firmato una strategia di partnership con Israele a febbraio. Oggi siamo qui per chiederne l’immediata cessazione”, ha detto l’ambasciatore palestinese Husam Zomlot. In base a quanto riporta la Campaign Against Arms Trade (CAAT), si stima che il Regno Unito dal 2015 abbia concesso e venduto licenze per la produzione di armamenti per un totale di 400 milioni di sterline.

L’INCONTRO si è concluso intorno alle 17.30, per dare la possibilità ai dimostranti di tornare a casa per l’Iftar (il pasto serale che interrompe il digiuno), dandosi appuntamento alla manifestazione del 14 maggio per protestare contro i 74 anni della Nakba (in arabo, catastrofe), l’esodo palestinese che ha costretto quasi un milione di palestinesi, l’80% della popolazione dell’epoca, a spostarsi perdendo più del 78% di ciò che rappresentava il territorio della Palestina storica.

Sul palco londinese (Foto: Michelle Sit Aboha)

L’atmosfera del presidio non era paragonabile a quella delle manifestazioni dell’anno scorso. Le cause sono da ricercarsi in una sensibilità e coscienza politiche eclatanti ma altrettanto effimere, dinamiche già verificatesi nel 2021 nei confronti di ciò che stava accadendo nei Territori Occupati.

ALLA GRATIFICAZIONE da parte della comunità palestinese aveva fatto seguito una profonda preoccupazione e soprattutto un dubbio: e se dovesse ripetersi così all’infinito?  Zomlot ha rivendicato l’applicazione del diritto internazionale a quanto accade da ormai quasi un secolo nei territori palestinesi, nel richiedere l’immediata sospensione dei finanziamenti in tecnologie militari a Israele da parte del governo britannico e nell’esigere un’attenzione mediatica appropriata.

“La nostra soluzione deve includere la giustizia. Non voglio parlare d’Israele, sappiamo tutti quello che fa e cosa vuole. Voglio invece ricordare il ruolo della comunità internazionale, del Regno Unito e dei media. Perché siamo soli. Abbiamo visto come gli strumenti internazionali siano stati applicati nel caso dell’Ucraina. Mentre nella prospettiva dei media i palestinesi sono considerati dei terroristi”.

GLI FA ECO lo scrittore e regista Ahmed Masoud: “Che le persone siano più interessate a ciò che accade in Ucraina dipende in buona parte dalla copertura mediatica. È una narrativa politica che enfatizza alcune ideologie politiche e non altre. L’Occidente ha sempre dipinto la Russia come un pericolo per la civiltà occidentale e questa guerra calza a pennello con questa narrazione”.

“Se consideriamo il modo in cui gli eventi vengono riportati”- ha aggiunto Masoud – “la simpatia nei confronti degli ucraini durerà a lungo, il che è giusto: ma è una vergogna che accada solamente nei confronti dei bianchi europei. Sembra che molti siano interessati alla guerra solo perché è alle loro porte”.

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