Antonio Bassolino prende sul serio la superstizione. Ha scelto il 21 novembre per ufficializzare il suo rientro, già abbondantemente annunciato. Il 21 novembre di 22 anni fa vinse il primo turno delle comunali (con il 41%) preparandosi a vincere anche il ballottaggio (contro Alessandra Mussolini) due settimane dopo.
È interessante confrontare il modo in cui la notizia della candidatura è stata data. Ieri con un tweet di due parole del sessantottenne ex sindaco, assiduo frequentatore dei social: «Mi candido». Ventidue anni fa con un comunicato del «Comitato di reggenza della federazione napoletana del Pds» (il «reggente» era lui stesso) che, molto sintetizzato, diceva così: «Questa proposta è offerta ad una valutazione delle forze politiche democratiche e di sinistra, delle associazioni e dei cittadini impegnati per un nuovo corso morale e politico per la nostra città… il Pds vuole contribuire, nella necessaria chiarezza, alla ricerca di un candidato comune ad uno schieramento democratico e di progresso». Il linguaggio politico non è più lo stesso, ma è chiaro che allora si trattava di una proposta di un partito (malridotto) a una coalizione. Oggi sostanzialmente di un’imposizione di un candidato al suo partito (che a Napoli è di nuovo malridotto).
È un altra Italia, un’altra politica e un’altra sinistra – nessuno dei partiti che lo sostennero allora esiste più – quella in cui Bassolino vuole tornare. In un libro di quattro anni fa si preoccupa di dimostrare che nel 1993, da leader del Pds napoletano, cercò in tutti i modi di evitare la sua candidatura, cercando altri nomi (il procuratore di Milano Borrelli) e cedendo infine quasi con rassegnazione ai sondaggi, che lo indicavano come unico possibile vincitore contro la destra. Oggi Bassolino non passa giorno senza sottolineare e criticare le indecisioni del Pd. Manda a dire che se cercheranno di fermarlo cambiando le regole delle primarie potrebbe candidarsi contro il suo partito.

In un libro più recente, Bassolino ha scritto che «al discutibile ma efficace termine “rottamare”, che in ogni caso coglie uno stato d’animo reale, bisogna rispondere usando e soprattutto praticando in modo molto più forte, in tutta la politica italiana, un necessario rinnovamento». Il «rinnovamento», spiegherà adesso e con qualche ragione, non può essere solo un fatto di biografie personali. Ma è chiaro che questa partita l’ex sindaco ed ex presidente della regione la giocherà soprattutto in casa, nel rapporto con il sedicente rottamatore Renzi, con il Pd. Com’è sempre stato, nella seconda (e più importante) vita politica di questo ex formidabile uomo d’apparato, allontanato da Roma e cresciuto come avversario interno del suo partito. Se D’Alema lo battezzò «cacicco», il culmine della disgrazia lo raggiunse nella campagna elettorale del 2008, quando Veltroni lo allontanò dal palco del comizio conclusivo, in piazza del Plebiscito. Era allora presidente della regione eletto con un consenso record. Ma la città era in piena emergenza rifiuti.
Del resto, guardandosi intorno, non è che manchino le vecchie glorie. A Catania c’è Bianco, a Palermo Orlando, a Roma Rutelli sta organizzando un grande rientro per la fine del mese. E soprattutto sempre a Napoli c’è Vincenzo De Luca, all’incerta guida della Regione. Sono tutti sindaci, come Bassolino, dell’anno 1993. E davvero non è solo un fatto di biografie, di uomini. A Napoli stanno ancora scavando la metropolitana «leggera» che Bassolino voleva completare nel suo primo mandato. L’immobilismo non esclude la nostalgia, lunedì torna al cinema Ricomincio da tre, che di anni ne festeggia 35. Allora il sindaco di Napoli era Maurizio Valenzi.