Una campagna così angustamente, noiosamente televisiva non s’era ancora vista. Nemmeno nell’anno della discesa in campo dell’unto del Signore tutto si era giocato così scopertamente in tv. Manifesti, comizi, adunate di folle: un ricordo. Per i Cinquestelle, artefici con Grillo dello straordinario tour di cinque anni fa, ci ha provato Di Battista: ma non è stato uno tsunami. Però se è vero che tutto è avvenuto dentro il piccolo schermo, lo è altrettanto il fatto che mai come in questa circostanza gli ascolti dei programmi politici siano stati così contenuti, così dimessi.

Ciononostante ancora una volta s’è capito che se è Berlusconi che traccia il solco, poi è Mediaset che lo difende. È andata così anche per queste ennesime elezioni svoltesi con quasi la metà delle principali tv del paese, le principali case editrici, la più potente agenzia di raccolta pubblicitaria saldamente in mano allo stesso politico-imprenditore.

Il Sudamerica non è lontano.

I dati forniti da Agcom, almeno fino al 25 febbraio, ci dicono che la questione televisiva (nell’era di internet la tv è ancora la principale fonte di notizie per le persone) rimane un nodo da sciogliere, mentre le tv dell’ex Cavaliere continuano a sedersi al tavolo dell’informazione con carte truccate. Fatto, ancor più che nei telegiornali (come vedremo), evidente in programmi come Domenica Live, Matrix, Mattino Cinque, Quinta Colonna, Dalla nostra parte e TgCom, rubriche extra-tg che avevano già regalato, ad esempio, nella prima parte della campagna elettorale (dal 29 dicembre al 28 gennaio) ben il 43% del tempo di parola alla coalizione di centrodestra a fronte dei numeri scandalosamente inferiori ( 26% e 24%) concessi al Pd e al M5S.

A dispetto delle sollecitazioni dell’Autorità di garanzia, Mediaset ha tenuto un atteggiamento similmente fazioso anche nel periodo pre-elettorale successivo. I dati che vanno dal 29 gennaio fino al 25 febbraio parlano chiarissimo: la fetta di gran lunga più grossa della torta è andata ancora una volta a Berlusconi e compagni (43%), al Pd e soci ne è toccata una molto più piccola (il 28%) mentre il M5S a stento ha potuto sedersi a tavola (14%).

Dunque il tripolarismo della scena politica nazionale sugli schermi Mediaset semplicemente non esiste: il Pd e i suoi sono ridotti al ruolo di sparring partner del trio Berlusconi-Salvini-Meloni, mentre i Cinquestelle sono fortemente sottorappresentati rispetto alla loro forza elettorale e alla loro presenza nel Parlamento. Lo stesso accade, con più stile, per i telegiornali del gruppo, che premiano di gran lunga le tre forze alleate della destra rispetto agli altri due poli. Non solo.

Visto che il diavolo si nasconde nei dettagli, ad esempio nella penultima settimana di campagna elettorale (18-25 febbraio), così come raccontata dal Tg5 di solito più equilibrato, il centrodestra sale dal 26% della settimana precedente al 35%, invece scende il centrosinistra (dal 34% al 26%) e precipitano i grillini (dal 24 al 18%). Un meccanismo di compensazione?

Ne dubitiamo, perché in ogni caso se compenso doveva essere avrebbe dovuto riguardare anche il partito di Grillo, che invece viene ulteriormente penalizzato.

Le tv di Berlusconi, del resto, hanno sempre dato il meglio di sé, pardon, il peggio, proprio negli ultimi giorni prima del voto, quando c’è da convincere gli indecisi. Funzionerà ancora o gli italiani, stanchi della politica, anche di quella televisiva, smentiranno numeri e cifre della telepolitica, strategie e ipotesi comunicative, sondaggi e previsioni di voto? Lo si vedrà da domani.