Qualcuno ci spera, nessuno ci crede. Le parole di ieri di Mario Draghi sull’«inflazione ancora non soddisfacente» hanno alimentato voci su un possibile allungamento del Quantitative Easing, il bazooka con cui sostanzialmente la Bce comprava titoli di stato e teneva basso lo spread.
Il board della Banca centrale europea ne discuterà a dicembre, ma sul tavolo ci sarà solamente una riflessione sulla tempistica per il già previsto rialzo dei tassi d’interesse, saliti da tempo oltre oceano.
Intervenendo allo European Banking Congress a Francoforte il presidente della Bce ha comunque proseguito nel suo monito perpetuo verso il nostro paese. «La mancanza di consolidamento fiscale nei Paesi ad alto debito aumenta la loro vulnerabilità agli shock, che siano auto-prodotti o importati. Finora, l’aumento degli spread è stato in gran parte limitato al primo caso e il contagio è stato limitato», ha detto Draghi con parole implicitamente rivolte all’Italia,
Questa volta però la congiuntura delicata si estende oltre il nostro paese: la crescita italiana è scesa a zero, quella tedesco è – per la prima volta da decenni – negativa.
Ma a preoccupare è in primis l’ormai sicuro scontro tra Roma e Bruxelles che potrebbe riaccendere instabilità finanziaria. Al secondo posto tra i grattacapi di Draghi ci c’è la guerra dei dazi tra Usa e Cina. Affiorano così «rischi alle condizioni di finanziamento» che colpirebbero per primi il nostro paese.
A dicembre termina il quantitative easing, con cui la Bce ha acquistato oltre 360 miliardi di debito italiano. Da lì in poi, il programma andrà avanti solo con i reinvestimenti, cioè comprando nuovi titoli con il capitale di quelli che via via scadono. I criteri dei riacquisti – si parla di un’operazione «twist» per consentire alla Bce di acquistare titoli a più lunga durata, allungando la vita media dello stock – verranno decisi nella riunione del 13 dicembre. Potrebbe alleviare la tensione per l’Italia, alle prese con uno spread a 300.
Così come sarebbe di grandissimo aiuto alle banche italiane rimettere in campo – ipotesi su cui alla Bce si ragiona da tempo – un maxi-prestito in grado di garantirle nei prossimi anni.
L’inflazione al 2,2% nell’Eurozona è coerente con la ripresa che la Bce desidera per chiudere il Qe. Ma l’inflazione di base «continua a mostrare dinamiche non soddisfacenti», ha detto Draghi nell’intervento a conclusione della Euro Finance Week. «Il consiglio ha notato che le incertezze sono aumentate» e dunque «a dicembre, con le nuove previsioni disponibili, saremo più in grado di fare una piena valutazione». Parole che portano gli osservatori finanziari a considere un possibile slittamento dello scenario attualmente più prbabile: un rialzo dei tassi dopo l’estate 2019. Contrastando le pressioni per anticipare i tempi che arrivano dai «falchi» nel consiglio Bce: dal tedesco Jens Weidmann della Bundesbank – possibile successore di Draghi a ottobre 2019 -, che ieri ha parlato di spazio di manovra attuale «limitato» per la Bce, all’olandese Klas Knot, che solo due giorni fa aveva ipotizzato una stretta sui tassi prima dell’estate.
Draghi ha comunque scelto di usare parole positive verso la Germania e le sue prospettive di crescita. Se l’atttuale rallentamento è dovuto al settore auto dovuta all’introduzione da settembre dei nuovi standard sulle emissioni dei veicoli», il suo effetto «dovrebbe essere temporaneo quando i test ambientali saranno superati». Il rischio di calo degli investimenti nelle imprese dedite alle esportazioni a causa della guerra commerciale poi «sonoampiamente bilanciati dai fattori alla base della domanda interna».