Muore Basilio Sulis, martedì notte, improvvisamente, e ci si sente morire in tanti. Morire perché tutto intorno muore la vita piena, l’incontro con le grandi avventure artistiche, in questo caso con le migliori musiche jazz del pianeta, le più avanzate, quelle che hanno fatto la storia delle avanguardie e hanno conquistato i cuori di chi vede il jazz come una musica della vita nuova, non della routine. Basilio aveva 72 anni, ha fondato il festival «Ai confini tra Sardegna e jazz» nel 1985. Ci sono passati i più bei nomi del jazz importante, dall’Art Ensemble of Chicago a Don Cherry, da Anthony Braxton a Butch Morris, da Evan Parker a William Parker. Molti di questi artisti hanno fatto stagioni «in residenza» e hanno tenuto corsi per studenti di musica. Basilio era un burbero che si scioglieva con gli amici di cui si fidava, non ha mai preso l’abito del manager scafato e ha preferito preparare i suoi festival un po’ all’impronta, come fanno sul palco i grandi improvvisatori che di anno in anno erano protagonisti delle serate nella Piazza del Nuraghe a Sant’Anna Arresi.

MA I RISULTATI erano splendidi, anche se qualche volta mancava qualcuno in cartellone per qualche disguido. A Basilio si perdonava un ritardo, un nome sostituito all’ultimo momento, perché si sapeva che il senso della rassegna sarebbe comunque stato la non convenzionalità, la predilezione per i linguaggi trasformativi e innovativi.