I giocatori contro i proprietari milionari. In mezzo, un affare complessivo da dieci miliardi di dollari. Mentre la Nba si gioca il meglio del repertorio con i playoff e la Nfl trova un attimo di tregua anche mediatica nel controverso rapporto con l’amministrazione Trump, si profila all’orizzonte la minaccia di sciopero degli atleti nella Major League Baseball. Ovvero lo sport dei bianchi, il primo nazionale per gli americani, rimasto per anni in silenzio durante le risse verbali tra basket e football contro la Casa Bianca. E che invece ora piazza sul tavolo – 25 anni dopo l’ultimo sciopero, causa introduzione del salary cap, che si chiuse dopo 232 giorni di stop – la concreta possibilità che la stagione regolare non parta in primavera. Un braccio di ferro legato al rinnovo del contratto collettivo dei giocatori – in scadenza nel 2021, per il quale si richiede una «redistribuzione della torta»: ovvero di quei dieci miliardi di dollari che finiscono in buona parte nelle tasche dei patron delle franchigie. Ricchi, ricchissimi, in maggioranza repubblicani. E che non vogliono vedersi tagliare le entrate, senza neppure gratificare gli atleti con un aumento del salario.

UNA QUESTIONE spinosa, che tocca soprattutto la middle class del baseball, gli atleti oltre i 30 anni, i veterani, lontani dagli ingaggi delle star, come Kersh Clayton, stella dei Los Angeles Dodgers (un milione di dollari a partita) oppure Bryce Harper, 330 milioni di dollari in 13 con i Philadelphia Phillies, e anche dalle nuove leve, gratificate da contratti pluriennali e con assegni a svariati zeri.

PER ALCUNI addirittura lo stipendio va sotto il salario minimo, al punto che il Congresso, lo scorso anno ha approvato una legge per esentarli dal lavoro federale. Insomma, c’è la corsa per mettere sotto contratto le stelle che attirano interessi e multinazionali, con poco spazio – e quindi pochi dollari – per i comprimari, i gregari, quelli che fanno il lavoro sporco in squadra. Una situazione che potrebbe sfuggire di mano, coinvolgendo la politica, sinora in posizione di attesa. Anche perché si aggiunge la questione del caro biglietti. Le partite costano sempre di più ai tifosi, anche per l’aumento di bibite, snack, merchandising delle franchigie. In alcuni casi sino al 45%, come per la franchigia di Atlanta, che con i pezzi in verde degli appassionati si è costruita un nuovo ballpark (lo stadio del baseball). Senza un dollaro di aumento per gli atleti.