Nella tradizione di molte musiche popolari i musicisti scelgono di disporsi in cerchio, nell’atto della performance: è un modo per rafforzare la musica e, al contempo, per mettersi in perfetta condizione di ascolto gli uni con gli altri. Succede ad esempio con le “squadre” di canto polifonico trallalero in Liguria. Anche il grande compositore jazz Charles Mingus faceva le sue prove di pressante vitalità disponendo in cerchio i suoi musicisti. Così si comporta anche uno dei più grandi musicisti della scena jazz radicale ancora in attività, e che con Mingus condivide anche lo strumento, il contrabbasso: Barre Phillips. Di recente ha fatto uscire uno strepitoso disco per contrabbasso solo, che sarà anche l’estremo lascito delle sue prove in solitudine, pietra miliare riconosciuta da chiunque ami le note avventurose e pensate, ma Barre Phillips, giovanissimo ottantaquattrenne, adora ancora oggi mettersi alla prova con chi ha molti decenni meno dei suoi, in laboratori collettivi che poi passano anche dalla prova del palcoscenico aperto.

PER QUESTO ha fondato nel 2014 in Provenza il Centro europeo per l’improvvisazione: perché non vada perso il senso, l’urgenza, la storia sedimentata di note che hanno dato una bella scossa al “secolo breve”, e continuano a indicare piste possibili a quelle dell’oggi. Adesso è in Italia, e a Genova ha coordinato un laboratorio con il collettivo di improvvisatori HIC che per diversi anni ha curato una magnifica rassegna dedicata alle note radicali, Improland, musicista di riferimento il sassofonista e compositore Claudio Lugo. Nella sala del teatro La Claque il bassista californiano ha poi messo assieme, nel cerchio, il suo ottetto con ance, corde e percussioni (e il funambolico, grandissimo György Kurtag all’elettronica) e undici musicisti di Improland.

BARRE PHILLIPS pareva una sorta di sorridente pacato sciamano in grado di evocare e scatenare la grande onda ancestrale della musica: occhi puntati di tutti i musicisti sulle sue dita magre che scolpivano cavate gonfie di armonici. S’è levato, nel primo set, un canto fremente, un sontuoso magma eterofonico in continua crescita che funziona come i singoli organi un organismo complesso: ogni parte in movimento, per dare movimento generale e dinamica al corpo grande delle musica. Nel secondo set, il maestro americano ha chiesto al pubblico di “ritagliare” dal cerchio dei musicisti piccole formazioni costituite poi dallo stesso Philips con l’aleatorietà di collegare i nomi degli strumentisti a carte da gioco estratte a caso: un modo per costruire e testare equilibri timbrici assolutamente imprevedibili. Così s’è sentito, ad esempio uno struggente duetto tra il sax di Claudio Lugo e i tasti della pianista slovena Tina Omerzo, scheggia di puro lirismo, o un quartetto ruggente con due batterie e due chitarre elettriche, dove ha brillato la forza e l’inventiva clownesca di Lorenzo Capello, un batterista che si muove nella scia luminosa e ironica di Han Bennink. Alla fine, applausi e entusiasmo da concerto rock.