Fino ad ora erano state «solo» dichiarazioni, cioè politica politicante. Da ieri non è più così. La caccia alle streghe delle frodi elettorali è diventata attività di governo. Un memo del ministero della giustizia autorizza i procuratori federali ad annunciare pubblicamente l’apertura di inchieste su violazioni elettorali anche prima del voto.

Inviato venerdì scorso, il memo è stato ottenuto da ProPublica, un’organizzazione no profit con sede a Manhattan che produce giornalismo investigativo online (ha già vinto quattro Pulitzer). Indica come obiettivi delle inchieste «rivelabili» il personale delle poste e il personale militare. In poche righe il ministro della giustizia William Barr ribalta una giurisprudenza di 40 anni che diceva, testuale, «gli investigatori devono considerare se l’apertura di un’inchiesta elettorale ha un effetto potenziale sull’elezione stessa». Il ministro Barr ha sciolto il guinzaglio a tutti quei procuratori e agenti del Fbi conservatori che volessero aiutare il presidente nella sua crociata per invalidare il voto. Come del resto ha fatto lui stesso, ripetendo l’appello di Trump: «Elettori repubblicani, votate due volte» – non male per un ministro della giustizia.

Una volta, dice la leggenda, votavano anche i morti. Come a Chicago quando l’ultimo barone ladro della politica, il sindaco Richard Daley, rubò lo stato a Nixon per darlo a Kennedy (nessun condannato, ma la macchina mitologica è impermeabile ai fatti). Da cui l’attualità del celebre motto del governatore Earl Long negli anni Cinquanta: «Quando muoio voglio essere sepolto in Louisiana, così resterò attivo in politica». Bei tempi. Finiti da mezzo secolo, se mai ci furono davvero.
Intanto si agita anche il trumpismo. La Heritage Foundation è un potente think tank iper-conservatore, cristiani fondamentalisti nati coi soldi della birra Coors ed esplosi con Reagan e con i milioni dei petrolieri. Hanno appena messo in rete la Voters fraud map, un database interattivo, e strillano: «1.298 frodi elettorali provate». È vero: in oltre quarant’anni, in tutti i cinquanta stati. E in stragrande maggioranza sono così: “Nel 2016 il signor Randy Allen Jumper ha votato due volte, una in Arizona e una in Nevada». Lurido criminale.

La Heritage ha anche titolato: «Decine di migliaia di casi di possibili frodi elettorali citati in un nuovo rapporto». È uno studio del Public Interest Legal Foundation, altro think tank di destra, in cui si dice che «apparentemente» ci sono 349mila morti nei registri elettorali e «apparentemente» 7.890 di loro avrebbero votato, che «probabilmente» alle elezioni del 2018 «in apparenza» 37mila persone «potrebbero» aver votato due volte e altri 34mila «sembra» fossero registrati in un posto e abbiamo votato in un altro. È un vecchio gioco, il rapporto-base è roba vecchia e spesso distorta che annega nei forse, ma le sue citazioni sono all’indicativo presente.

Quello che era cominciato come l’ennesimo delirio di Trump, che in agosto aveva cercato di tagliare i finanziamenti alle Poste denunciando «gli enormi brogli» dei mail ballots, potrebbe essere diventato il suo obiettivo principale: contestare il voto da un tribunale all’altro fino alla Corte suprema, che è già sua. In mezzo potrebbe esplodere la guerra civile, e forse si spiega meglio perché Donald non abbia condannato il gruppo di ultradestra Proud Boys durante il confronto con Biden in tv. Le milizie suprematiste bianche, in questi casi, sono utili come la Guardia nazionale e assai più maneggevoli. Ma se finisce a botte non sarà una tragedia solo per gli Usa.