Ismail afferra una verza e la mette sulla bilancia con movimenti rapidi e precisi. La ripone nel sacchetto di carta che porge al cliente. Ismail è del Benin, è affabile con i clienti e con alcuni ha instaurato un rapporto di confidenza, è rapido, imbusta velocemente e accompagna l’acquisto con un sorriso garbato. Come tutte le domeniche mattina Ismail va al mercatino del biologico accanto all’ippodromo di Capannelle di Roma. Il banchetto è pieno di finocchi, porri, cavoletti di Bruxelles, verza, broccoletti siciliani, cime di rapa e altre verdure rigorosamente di stagione. Su un altro banco ci sono gli yogurt fatti con la ricetta tipica del Mali, conserve di melanzane, peperoni, crema di fagiolini, zucchine, passata di pomodoro … tutti i prodotti e gli ingredienti vengono dagli orti biologici della cooperativa Barikamà sull’Ardeatina e sul lago di Martignano. Le mani di Ismail sono secche, scolpite dal lavoro duro nei campi e dal vento gelido, un logorio che non spegne il suo sorriso e la sua passione.

Barikamà nasce nel centro sociale di Exsnia sull’arteria della Prenestina, vicino alla stazione Termini, dove Soliman, Sheik, Sidiki, Abubakar, Ismail, Saydou sono approdati dopo gli sgomberi di Rosarno. Spiega il senegalese Sheik, in Italia dal 2006: “Non c’era lavoro, nel 2010 la crisi economica incominciava ad abbattersi pesantemente sull’Italia, e volevamo racimolare qualche spicciolo per telefonare le nostre famiglie in Africa”. All’inizio producevano solo lo yogurt, senza fermenti, come si fa in Mali, spiega meglio Sheik: “Da noi una mucca produce al massimo dai 3 ai 5 litri al giorno, non 30 come in Italia, il latte è più grasso e più ricco, con la sola bollitura e il riposo di un giorno si ottiene un ottimo yogurt”. Successivamente, per conformarsi alla legislazione italiana, sono stati costretti ad aggiungere fermenti ma, come dice il sito e il poster alle spalle di Ismail al mercato di Capannelle “NO addensanti, NO conservanti, NO dolcificanti e NO coloranti”.

Molti al centro Exsnia erano stupefatti dal sapore e dalla consistenza del nostro yogurt, alcuni dicevano che era uguale a quello che mangiavano 50 anni fa qua in Italia. Questo ci ha incoraggiato e spinto ad andare oltre”, racconta Sheik. Ma l’idea di Barikamà non era ancora nei loro piani. Soliman racconta i dettagli: “Era il 2011, una volontaria italiana che veniva all’Exsnia ci ha suggerito di continuare la produzione ma per metterci in regola, oltre ai permessi, serviva un luogo idoneo alla produzione che rispettasse i canoni del biologico. Così venimmo a Martignano e quelli del Casale omonimo ci misero a disposizione le strutture. Intorno al lago c’era molto terreno, e chiedemmo ai responsabili del Casale se potevano lasciarcelo coltivare, il loro assenso fu imprescindibile per la nascita giuridica della cooperativa Barikamà nel 2014. Loro arano il terreno, ci forniscono mezzi ed acqua per irrigare, parte della nostra produzione va al Casale per la ristorazione dell’agriturismo .

Il martedì è il giorno della raccolta principale di ortaggi e della preparazione dello yogurt. La mattina si inizia presto, intorno alle 7:00, ma molto dipende dal tempo, se fa troppo freddo l’orario può essere posticipato di qualche ora. Il latte viene comprato ad Amatrice presso il Casale di Nibbi di cui distribuiscono i formaggi bio. La produzione di yogurt varia a seconda delle richieste, dai 150 ai 200 litri a settimana. Ismail, oltre al mercatino di Capanelle, la mattina del martedì si dedica alla produzione dello yogurt presso il Casale di Martignano. Da circa un anno c’è Lorenzo che lo aiuta, un ragazzo di Roma con sindrome di Asperger. Il latte viene portato ad ebollizione mentre i barattoli di vetro, minuziosamente lavati, vengono sterilizzati con il vapore acqueo. Dai 90° centigradi si attende che il latte ritorni alla temperatura di circa 40° e poi viene invasato nei diversi formati dei recipienti. Lo yogurt deve riposare minimo un giorno per poi essere messo in vendita. Tra un’operazione e l’altra Ismail riceve delle chiamate di clienti privati che ordinano la consegna porta a porta della verdura e dei prodotti di Barikamà, qualche volta la lista viene inviata su Whatsapp o sulla mail della cooperativa. “Siamo tutti intercambiabili, oggi faccio lo yogurt, ieri sono andato a prendere il latte ad Amatrice, domani sono nei campi con tutti gli altri”, ci tiene a precisare Ismail.

Sheik, Soliman, Abubakar, Sidiki e Saydou sono a raccogliere gli ortaggi. “Purtroppo dobbiamo andare di fretta, abbiamo delle consegne da fare per i nostri magazzini del Pigneto e dell’Ardeatina dove poi le verdure vengono smistate per i vari negozi, per i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), per i ristoranti e i mercati rionali di Roma”, mentre parla Soliman non distoglie lo sguardo dal cavolo rosso. Lo recide con un taglio netto del gambo, poi con il coltello lo pulisce per depositarlo con cura dentro la cassetta. “Come vedo la situazione in Italia oggi per noi che veniamo dall’Africa? Tutti parlano di razzismo, ma si sbagliano, è egoismo. Il problema del caporalato è che gli sfruttatori non vogliono pagare le tasse e quindi assumono manodopera a basto costo, in nero, cercando di spolparla il più possibile. Se fosse razzismo generalizzato la gente non comprerebbe i nostri prodotti, invece la richiesta è costante e a volte in aumento, perché la gente comune apprezza il nostro lavoro e quello che produciamo”. Soliman è sposato ed ha due figli, in futuro vorrebbe far ritorno in Mali con tutta la sua famiglia, l’esperienza italiana è convinto che sia solo una parentesi, ma i suoi figli sono ancora troppo piccoli per capire quale sarà veramente la loro casa un domani

Il lavoro procede spedito, il rimorchio del trattore viene riempito per la seconda volta. Soliman, Sidiki, Abubakar e Lorenzo si aiutano reciprocamente, scherzano, ridono sebbene siano sormontati da mille problemi. Sidiki è in Italia dal 5 maggio del 2009, anche lui è stato vittima del caporalato, è stato a Nardò, a Rosarno e a Catania … : “L’agricoltura mi piace molto, anche perché vengo da una famiglia di agricoltori in Mali, ed è il primo lavoro che ho fatto in Italia, a Foggia: raccoglievo pomodori e uva, dovevo zappare e piantare, mi piaceva. Poi sono venuto a Roma dove ho fatto il tirocinante alla comunità di Capodarco dove poi ho anche insegnato. Ho lavorato in dei ristoranti qualche mese, però l’agricoltura è quello che mi piace di più”.

Barikamà è anche questo, un affrancamento da una condizione di semi-schiavitù del caporalato. Sheik espone il suo pensiero che rappresenta l’essenza di Barikamà e dei suoi membri che va oltre la mera azienda economica: “Con Barikamà mi sento felice, perché anche se guadagni poco sai che stai lavorando per te stesso. Spingendo riesci ad andare avanti e magari a diventare un esempio per altri che sono nelle campagne italiane e vengono sfruttati, proprio per svincolarsi dalla rete dello sfruttamento, per creare la propria impresa e guardare al futuro con speranza. Se sei lì nei campi del caporalato ti pagano €25 per 12 ore o €3,50 per 350 kg di pomodori raccolti … questo è sfruttamento ma purtroppo sei costretto a farlo perché non hai un’alternativa. Siamo stati fortunati a trovare delle persone all’Exsnia che hanno creduto in noi e in quello che sappiamo fare. Il mondo va avanti se gli uni collaborano con gli altri, unendo le proprie forze, insieme, possiamo vivere decentemente e con rispetto. Questo è Barikamà: mi permette di lavorare per me stesso, di collaborare con altre persone, anche con italiani che sono consapevoli che il mondo va avanti lavorando insieme e non importa il colore della pelle, non importa da dove vieni, basta andare d’accordo, così ognuno si trova bene e nessuno sfrutta l’altro, solo così si guarda al futuro con positività”.

Quando il rimorchio è pieno le cassette di ortaggi appena raccolti vengono portate al magazzino del Casale per il confezionamento. Ismail ha tutta la lista dei clienti privati di Roma nelle note del cellulare per le consegne porta a porta: “1 kg di cavolo nero, 2 kg di patate, un mazzo di cipollina fresca, 700 g di cime di rapa, A kg di carote, un barattolo di yogurt, una passata”, detta minuziosamente a Saydou che pesa ogni piccola quantità con attenzione e la ripone nella cassetta dove verrà apposto il nome del cliente. Le quantità ed i prodotti variano fino a quando tutto è terminato e posto nel furgone frigo che andrà al magazzino del Pigneto ed essere distribuito la mattina seguente. Sul loro sito si può leggere i punti vendita di Roma e dintorni dove acquistare i loro prodotti, dallo yogurt agli ortaggi che, tra l’altro, consegnano anche in bicicletta nel centro di Roma dal mercoledì al venerdì.

La loro rete di vendita è ben distribuita a Roma e provincia. La loro caparbietà li ha portati a partecipare e vincere insieme al Granma Bistrot il bando di concorso di €40.000 per la ristorazione del Caffè Nemorense e la manutenzione del parco Virgiliano vicino Villa Ada. Puliscono il verde, potano, rimuovono cartacce e in più offrono aperitivi e brunch tipici del Mali presso il Caffè Nemorense del parco e non solo quando a giugno si celebra la settimana del rifugiato.

Tutti i ragazzi di Barikamà sono passati attraverso l’inferno delle campagne di Foggia, di Bari, di Lecce, di Rosarno … La loro cooperativa mette in evidenza un altro lato che il caporalato oscura e opprime: il rilancio del settore agricolo che potrebbe divenire un volano di sviluppo in molte realtà del meridione e aprire nuove porte per l’imprenditoria giovanile. In questo modo i giovani potrebbero trovare un motivo per rimanere legati al territorio sfruttandone le potenzialità inespresse invece di cercare fortuna e speranze all’estero. Ma un aspetto rimane imprescindibile per la realizzazione di uno sviluppo sostenibile: la lotta all’ingerenza criminale e alla mafia. Il caporalato, non è solo sfruttamento, schiavitù, è un abbrutimento morale e una disintegrazione sociale. Barikamà in lingua bambara originaria del Mali significa resilienza: più le difficoltà aumentano, più la vita si fa dura e più si diventa forti.