«(Mio padre) darà appoggio a una lista che parteciperà alle elezioni legislative…sarà registrata questa sera». «Quella di Nasser Qudwa?». «Ora è lista di Marwan e Nasser». Con questo breve scambio su Whatsapp, ieri Qassam Barghouti ha confermato al manifesto che il padre, Marwan Barghouti, il più noto e popolare dei prigionieri politici palestinesi, alle elezioni del 22 maggio non sosterrà la lista del suo partito, Fatah. Darà invece il suo appoggio alla lista Hurriyeh (Libertà) di Nasser Qudwa, ex ambasciatore dell’Olp all’Onu e nipote di Yasser Arafat, espulso il mese scorso da Fatah per ordine del suo leader e presidente palestinese Abu Mazen, perché dissidente e per aver affermato l’intenzione di presentarsi alle elezioni del 22 maggio da indipendente. L’avvocata e attivista dei diritti delle donne Fadwa Barghouti, moglie di Marwan, occuperà il secondo posto della lista, subito dopo Qudwa. Intenzionato a candidarsi a presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) – in sfida aperta ad Abu Mazen – Marwan Barghouti non può partecipare alle legislative, lo stabilisce lo Statuto dell’Anp. A rappresentarlo tra i 63 candidati inseriti nella lista Hurriyeh ci saranno oltre alla moglie alcuni dei suoi storici collaboratori e sostenitori, tra i quali Qaddura Fares e Hatem Abdel Qader.

Il 6 aprile, la Commissione elettorale palestinese comunicherà quali delle 16 liste che si sono registrate potranno prendere parte al voto. E qualcuno non esclude una sorpresa, ossia che un «errore» nella registrazione di Hurriyeh possa tenere la lista lontana dalle urne. Oltre ai vertici di Fatah, consapevoli dei consensi che Barghouti, con la sua popolarità, potrà portare alla Hurriyeh, anche l’Unione europea, gli Stati uniti e, soprattutto, Israele seguono gli sviluppi delle elezioni palestinesi. E non sono tranquilli. Contro le previsioni della vigilia, le votazioni del 22 maggio e le presidenziali del 31 luglio non saranno simboliche e scontate. Piuttosto fanno registrare scosse inattese e un crescente interesse della popolazione dei Territori occupati per il ritorno alle urne dopo oltre 15 anni. Se tra qualche mese Barghouti, come i sondaggi dicono al momento, sarà eletto, per Israele non sarà semplice tenere dietro le sbarre il presidente eletto dell’Anp, nonostante i cinque ergastoli e i 40 anni di prigione che sta scontando per «terrorismo».

Martedì sera Mahmud Al Alul, il numero due di Fatah, ha avuto un colloquio di due ore con Fadwa Barghouti, sperando di spingerla a persuadere il marito a restare in disparte «per il bene di Fatah». Non è servito. Barghouti, insieme a molti altri membri del partito, sa che l’attuale leadership che fa capo all’anziano presidente Abu Mazen (85 anni) – portatore da lungo tempo di una linea sterile, non in grado di ridare slancio alle aspirazioni dei palestinesi – non può più conquistare la fiducia della popolazione. La spaccatura tra Fatah che governa in Cisgiordania e gli islamisti di Hamas a Gaza ha aggravato la frustrazione dell’opinione pubblica palestinese.
Adesso si attende di vedere la risposta a questo terremoto della base di Fatah, un tempo guidata proprio da Barghouti. Così come quella dei prigionieri in carcere in Israele di cui il «Mandela palestinese» per 19 anni è stato uno dei rappresentanti. Sullo sfondo di questo dramma in Fatah c’è Hamas che tre giorni fa ha registrato la sua lista elettorale, «Gerusalemme è il nostro traguardo». L’ingresso in campo di un personaggio politico popolare come Barghouti riduce sensibilmente le possibilità del movimento islamico di bissare il successo del 2006. Capolista è Khalil Al Hayya, uno dei membri più influenti dell’ufficio politico di Hamas.

Resta nel frattempo molto complesso il dopo voto in Israele. Ieri il presidente Reuven Rivlin, ricevendo i risultati ufficiali delle elezioni del 23 marzo (le quarte in due anni), ha spiegato che, pur di arrivare a una maggioranza stabile, potrebbe affidare l’incarico facendo ricorso a «collaborazioni inusuali». Una linea che forse lo porterà a scegliere un leader di partito diverso dal premier uscente Netanyahu che pure è stato indicato dalla maggioranza dei partiti.