Trionfi di divinità marine, Veneri allo specchio, Amorini impegnati nella pesca. Virgilio che impugna i rotoli dell’Eneide e ipnotizza gli spettatori con la forza sempiterna del mito. Gladiatori che sfidano belve feroci. Volatili e fiori senza spine che accompagnano i cristiani delle origini nell’atto del battesimo e durante l’ultimo viaggio. Il Museo nazionale del Bardo di Tunisi (fino al 1955 Museo Alaoui) custodisce dal 1888 l’epopea africana di Roma, scritta con una miriade di tessere colorate di pietra e di pasta vitrea.

Dal 2016, a questa sontuosa raccolta di mosaici romani e paleocristiani si è aggiunta una stele che dei capolavori del Bardo rievoca qualche simbolo: in alto, su sfondo bianco, due mani strette in segno di pace; in basso, una colomba che tiene in bocca un ramoscello d’olivo e propizia l’immortalità dell’anima. Tra questi emblemi, i nomi listati a lutto delle ventidue vittime – provenienti da dieci differenti paesi, compresa l’Italia – dell’attacco terroristico di matrice islamica che il 18 marzo 2015 ha macchiato di sangue l’antica residenza del Bey.

L’opera commemorativa realizzata da Fethi Nefzi dell’atelier di riproduzione dei mosaici del Bardo è stata immaginata – assieme all’esperta di restauro Nadia Jhinaoui – da Fatma Naït Yghil, già responsabile della collezione dei mosaici e dal 2018 direttrice del prestigioso museo tunisino. Con lei abbiamo conversato di memoria e di futuro dell’archeologia.

Il Bardo non è soltanto un museo archeologico di risonanza mondiale ma ora anche un luogo di memoria funesta della storia più recente del Mediterraneo. Come si conciliano questi due aspetti?
Paradossalmente, la tragedia del 2015 ha avuto l’effetto di promuovere il Bardo donandogli maggiore notorietà. Alcune categorie di cittadini tunisini e stranieri hanno visitato il museo per la prima volta proprio spinti dalla curiosità di ripercorrere il circuito intrapreso dai terroristi e di vedere l’impatto materiale dell’assalto all’interno del palazzo-monumento e sui reperti archeologici. Durante la mia direzione, ho scelto di non mettere in risalto questo evento drammatico perché è necessario andare avanti e rassicurare il pubblico. Non dobbiamo poi dimenticare che anche i lavoratori del Bardo devono poter superare questo choc che li ha direttamente coinvolti. Poco tempo fa, ho disposto la riparazione delle vetrine danneggiate e la rimozione delle tracce dell’attacco armato impresse sui muri. La decisione è stata presa anche in base alle reazioni che sia io che i mediatori culturali abbiamo potuto constatare nei visitatori: parlare della strage provoca sconforto e allontana il museo dalla sua vocazione originaria, che è quella di migliorare la vita delle persone. Le sale più colpite dalle raffiche dei kalashnikov sono chiuse da sei anni. Questi locali si trovano nel «dipartimento dei tesori», uno spazio attualmente in corso di ristrutturazione, che contiamo di inaugurare al più presto con una nuova installazione museografica e scenografica.

Dopo la rivoluzione del 2011, i giovani tunisini continuano a lottare per la democrazia e contro l’oscurantismo religioso, rivendicando inoltre l’appartenenza a una cultura mediterranea. Qual è il rapporto di questa componente della società con il patrimonio conservato al Bardo?
Il Bardo è innanzitutto un’entità scientifica che dipende dall’Istituto nazionale del patrimonio (Inp). Come tale è posta sotto la tutela del Ministero degli affari culturali. Educare i giovani alla conoscenza della Storia è dunque allo stesso tempo un dovere e un obiettivo fondamentale del museo. Ora più che mai questa «riconciliazione» della gioventù con l’eredità identitaria rientra nel nostro programma. Gli stagisti e gli studenti di vario livello che ospitiamo possono accedere alle diverse collezioni esposte nel museo o conservate nei depositi. C’è inoltre un interesse nei confronti della valorizzazione del patrimonio da parte di molti giovani laureati e di startupper che investono nelle applicazioni digitali. Questo è molto incoraggiante.

L’attentato del 2015 ha determinato una brusca interruzione del turismo internazionale in Tunisia. Proprio nel momento in cui nel paese si riscontrava una vigorosa ripresa dei flussi turistici, il coronavirus ha inferto un nuovo colpo. Come avete vissuto questo periodo e come pensate di rilanciare il museo alla fine della pandemia?
La pandemia di Covid-19 ha causato la terza grande crisi del museo dopo la rivoluzione del 2011 e l’attacco terroristico del 2015. Tra il 2018 e il 2019, il Bardo aveva conosciuto la sua rinascita, eguagliando quasi il numero dei visitatori del 2014, anno che costituisce il nostro punto di riferimento perché anteriore al massacro. Quello odierno è un crollo che riguarda tutti i musei del mondo ma che, nondimeno, ci impedisce di sviluppare manifestazioni scientifiche, culturali e artistiche. Limitatamente, continuiamo ad organizzare qualche incontro come la presentazione di libri. Anche il dipartimento educativo è rimasto attivo attraverso le animazioni pedagogiche. Inoltre, abbiamo approfittato di questa fase per eseguire lavori di manutenzione e di restauro. Anche il settore digitale è stato potenziato. Tra le future novità, c’è l’esposizione di numerosi oggetti per la prima volta dall’inaugurazione del museo.

Quali sono le attività che si svolgono invece «dietro le quinte»?
Il Bardo si distingue per un ricco programma educativo assicurato da Karima Arfaoui di concerto con associazioni e scuole. Per quest’ultime c’è anche la possibilità di effettuare alcune lezioni al museo. Promuoviamo inoltre atelier di riproduzione di mosaici e attività orientate al canto, al teatro, alla danza e all’apprendimento della calligrafia araba. Non mancano giochi e concorsi didattici nel campo della matematica e del disegno.

Il Bardo può anche vantare prestigiose collaborazioni scientifiche…
La cooperazione con i paesi europei e asiatici, più precisamente con la Germania, la Spagna, la Francia, la Repubblica Ceca, il Giappone e naturalmente l’Italia, alla quale la Tunisia è legata da profonda amicizia, è prolifica. Grazie alla collaborazione con Maria Vittoria Longhi, direttrice dell’Istituto italiano di cultura a Tunisi, sono molteplici le manifestazioni e gli incontri scientifici organizzati tra i due paesi negli ultimi tre anni. Tra i nostri partner si annoverano gli Uffizi e il Museo Marino Marini di Firenze, il Maxxi di Roma, il Museo nazionale di Cagliari, il Museo nazionale di Aquileia, il Parco archeologico del Colosseo, il Palazzo Ducale e la fondazione dei Musei civici di Venezia, il Villaggio Globale International con sede a Treviso.

La bellezza dei mosaici che tappezzano le sale del museo fino allo stordimento emotivo, rischia però di oscurare un patrimonio storico-archeologico molto più vasto e culturalmente ricco, peraltro bisognoso di protezione. Ha in mente una strategia per allargare l’orizzonte?
È vero che la celebrità del museo si deve soprattutto ai mosaici ma le iscrizioni, le sculture, le ceramiche, i bronzi, i gioielli e le monete che vanno dall’età punica all’epoca islamica sono costantemente oggetto di ricerca da parte di specialisti di ogni parte del mondo. Non possiamo dunque che impegnarci affinché il Bardo, vero e proprio centro di conoscenza della storia dell’Africa del Nord ma anche dell’Europa, contribuisca alla difesa e alla valorizzazione di un patrimonio comune alle due sponde del Mediterraneo.

Lei è specialista dell’iconografia dei mosaici. Quali sono le prospettive in questo ambito?
Mi occupo in particolare delle attività ludico- sportive e dei giochi atletici praticati nel passato. Alcuni mosaici sono fondamentali per la comprensione di questi aspetti della vita quotidiana dell’Africa sotto la dominazione romana. Essi testimoniano infatti per immagini ciò che i testi letterari o epigrafici hanno tramandato. Potremmo quasi paragonare i mosaici a dei reportage che ci avvicinano alla realtà dell’epoca. L’iconografia facilita il lavoro degli studiosi che, che tramite la ricerca, l’interpretazione e la formulazione di ipotesi, si sforzano di «far parlare» l’antichità. Anche se metodologicamente è opportuno confrontare tutte le fonti a disposizione, il mosaico resta un’arte privilegiata, in cui l’incontro tra la tradizione figurativa della civiltà romana e il savoir faire africano ha raggiunto il suo folgorante apice.