Dopo aver covato sotto le ceneri per una settimana, alla fine la polemica inizia a emergere con forza. Innanzitutto fra i Mossos, la polizia catalana, e le forze dell’ordine nazionali, la Policía nacional e la Guardia civil. Prima le voci anonime che denunciavano «il grave errore» dei Mossos nel non permettere al corpo di disattivazione esplosivi delle polizie nazionali l’accesso a Alcanar, perché, dicevano, avrebbero chiarito subito che si trattava di esplosivo e non di narcotrafficanti come si era creduto all’inizio.

POI MARTEDÌ DUE SINDACATI di polizia spagnoli maggioritari avevano denunciato che «la debolezza delle istituzioni e dei responsabili politici ha fatto sì che l’esperienza e la struttura a livello nazionale nella lotta antiterrorista sia stata marginalizzata in modo doloso con l’unico obiettivo di trasmettere verso l’esterno l’immagine di uno stato catalano autosufficiente». I Mossos avrebbero anche ignorato il fatto che l’imam era stato discepolo di un noto terrorista detenuto nel 2007. I sindacati spagnoli dicono che i Mossos non avevano conoscenza del passato dell’imam perché non avevano comunicato alla polizia spagnola l’esistenza di un nuovo imam. Ai Mossos però il governo centrale non facilita l’accesso alle basi di dati nazionali e internazionali.

RISPOSTA DI IERI di due sindacati dei Mossos: «È ingiusto, tutti abbiamo lavorato moltissimo» e «perché la polizia spagnola non ha informato i Mossos su chi era l’imam? Perché ci avete escluso per tutti questi anni dall’informazione europea contro il terrorismo?». E aggiungono che la collaborazione fra i corpi di sicurezza è «fondamentale» e che «dire che questo o quello avrebbe evitato qualcosa è temerario, irresponsabile e irrispettoso». Il tutto mentre, formalmente, i politici continuano a lodare la collaborazione. L’ultimo, ieri, il delegato del governo a Barcellona, Enric Millo del Pp. E poi, i Mossos sono stati in grado di disarticolare una cellula terrorista in solo tre giorni.

MA CI SONO ALTRE COSE che non quadrano. Il sindaco del paese di Vilvoorde in Belgio, zona di radicalismo, ha dichiarato che aveva comunicato alle forze di sicurezza «spagnole» (senza specificare quali) che l’imam Es Satty – che lì aveva vissuto alcuni mesi nel 2016 prima di essere espulso dalla stessa comunità musulmana – aveva suscitato molti sospetti. Le autorità spagnole avrebbero negato qualsiasi vincolo con atti di terrorismo o criminalità (ma l’imam era stato in carcere per 4 anni per narcotraffico). Lo stesso ministro degli interni Zoido ha smentito ieri qualsiasi comunicazione da parte del Belgio. A gettare benzina sul fuoco, anche la decisione del Parlament catalano di assegnare domani una medaglia d’oro alla polizia catalana e alle polizie urbane di Barcellona e di Cambrils, ma non a quelle spagnole. Ciutadanos, il Pp e i socialisti catalani hanno protestato.

POLEMICA anche sulla mancata espulsione dell’imam nel 2015 per il suo dimostrato «radicamento sul territorio»: ma – lo ricordava ieri il Tribunale superiore di giustizia della comunità valenziana – la giurisprudenza spagnola ed europea in questi casi obbliga a valutare caso per caso. Infine la polemica barriere. Nella riunione della giunta di sicurezza presieduta dalla sindaca Colau si è deciso di rafforzare la sicurezza in alcuni spazi pubblici, anche con barriere mobili, e più polizia per le strade. Inoltre si è decisa la creazione di un gruppo permanente che possa prendere in tempo reale decisioni e di rafforzare i piani per rilevare la radicalizzazione. Ma, a margine di questa riunione, è stato lo stesso ministro catalano degli interni Quim Forn, all’opposizione a Barcellona, a difendere la giunta Colau: «non si può blindare una città», ha detto.