Alla vigilia del primo anniversario del referendum del primo d’ottobre, la tensione in Catalogna è alle stelle. Ieri ci sono stati scontri nel centro di Barcellona fra un gruppetto di indipendentisti e i Mossos d’Esquadra (la polizia catalana), che difendevano un altro gruppo di manifestanti della polizia nazionale e della Guardia Civil.

L’1 ottobre dell’anno scorso il governo di Carles Puigdemont celebrò un referendum che, pur senza garanzie legali – il governo spagnolo vi si era opposto con tutte le forze – aveva portato più di due milioni di persone (sui circa 5 milioni di votanti teorici) alle urne per chiedere l’indipendenza catalana. Ma la giornata si era chiusa nel sangue, con diecimila fra agenti di polizia e guardia Civil che, oltre a sequestrare urne e schede, avevano preso a manganellate e spintoni i manifestanti: l’avevano battezzata Operazione Copernico. La Generalitat aveva contabilizzato un migliaio di feriti in totale. Le immagini della violenza insensata dello stato spagnolo avevano fatto il giro del mondo, e soprattutto avevano indignato moltissimi catalani, non solo indipendentisti. Il governo di Mariano Rajoy non si scusò, mentre il governo di Puigdemont, dopo qualche giorno di traccheggio, optò per lasciare che il Parlament il 27 ottobre facesse una dichiarazione che apparisse di indipendenza (anche se nella forma non lo fu). Il giorno dopo, Puigdemont assieme ad altri consiglieri fuggì in Belgio; e la settimana successiva tutti gli altri suoi ministri finivano in carcere, mentre il governo catalano veniva sospeso d’imperio grazie al voto del Senato che permise per la prima volta l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione.

Oggi la situazione è completamente diversa: alla Moncloa, a Madrid, siede un altro presidente; e lo stesso succede nel palazzo della Generalitat. Gli attori sono cambiati, i socialisti hanno fatto uno sforzo, almeno nei toni, per evitare lo scontro diretto con Barcellona; ma nei fatti, i politici catalani – fra cui l’ex presidente e capo di Esquerra Republicana, Oriol Junqueras – sono ancora in carcere preventivo e la situazione non è ancora normalizzata (pur con alcuni gesti importanti da parte dei due governi: per esempio riunioni bilaterali fra Madrid e Barcellona).

Per questo l’anniversario del primo ottobre è una data calda. Da settimane la tensione si accumula: da una parte con Ciudadanos e Pp che soffiano sul fuoco; dall’altra con gli indipendentisti sempre più impegnati con gesti simbolici in difesa della lotta per la repubblica catalana per nascondere quella che è, a tutti gli effetti, una sconfitta politica.

La piattaforma della polizia Jusapol protesta da tempo in tutta la Spagna per chiedere l’equiparazione salariale fra polizia nazionale, Guardia Civil e Mossos d’Esquadra, che guadagnano di più dei colleghi di Madrid (al livello più basso, un mosso guadagna 4.000 euro in più lordi all’anno di un policía nacional, e 6.000 euro più che un guardia civil). L’equiparazione dei salari era stata promessa da Pp e Ciudadanos, e sembra che anche i socialisti manterranno l’impegno. Ma ieri, e provocatoriamente, Jusapol ha convocato una manifestazione (meno di 2.000 persone) proprio a Barcellona, dove sono stati gridati anche slogan in sostegno dei loro colleghi che l’anno scorso erano impegnati nell’Operazione Copernico. I cosiddetti Comitati per la difesa della Repubblica (CdR), gruppi sostanzialmente della sinistra indipendentista anticapitalista, hanno immediatamente raccolto la provocazione, convocando una contro manifestazione (6.000 persone) per cercare di bloccare loro il passo. I Mossos hanno cercato di evitare che i due cortei venissero in contatto, ma è finita che gli anticapitalisti si sono scontrati con la polizia catalana: la scena più che dantesca era carnevalesca, perché i CdR hanno deciso di rispondere alle cariche lanciando polveri colorate holi come quelle delle feste indiane della primavera. Bilancio finale: un arrestato e 14 feriti lievi. Ma soprattutto l’epopea dello scontro è stata ancora una volta fomentata ad arte da chi ha tutto l’interesse perché non si giunga mai a un accordo. Manca ancora un mese all’altra data segnata in rosso sul calendario: il 27 ottobre.