A molti spagnoli più che il futuro parlamento europeo, stanotte interesserà sapere i nomi dei loro futuri sindaci: si vota infatti anche per tutti i municipi, e per alcuni dei governi regionali. Fra tutti, alcuni sono più emblematici di altri. Chi sarà il presidente della comunità autonoma di Madrid, in mano al Pp da più di 30 anni? Chi stringerà il simbolico bastone della guida della città di Madrid o Barcellona? In quest’ultima piazza, la seconda città del paese, la lotta è davvero al fotofinish.

LA LEGGE SPAGNOLA prevede che nel caso in cui nessun candidato ottenga la maggioranza assoluta dei seggi, e in assenza di una coalizione che imponga il proprio candidato, viene automaticamente eletto sindaco o sindaca il capolista del partito che abbia ottenuto più voti. Fu proprio così che 4 anni fa l’outsider Ada Colau divenne sindaca: la variopinta opposizione (7 partiti in un consiglio comunale con soli 41 scranni) non fu in grado di presentare nessuna alternativa, e Colau, con i suoi 11 consiglieri assunse la guida di una città grande e complicata.

Nella prima seduta del consiglio comunale la sindaca chiese un taglio dello stipendio dei consiglieri. Votarono contro quasi tutti, eccetto la Cup e gli eletti del suo partito, Barcelona en comú (che include varie sigle di sinistra, fra cui Podemos e Izquierda Unida), che si autotagliarono lo stipendio depositando la ricca differenza in un fondo che ogni anno è stato distribuito a progetti sociali votati dai cittadini. Colau riceve 2.200 euro netti al mese per 14 mensilità, anche se teoricamente lo stipendio del primo cittadino di Barcellona è più di quello del presidente del governo: 100mila euro lordi.

Ada Colau appena eletta sindaca nel 2015
Ada Colau appena eletta sindaca nel 2015

 

All’inizio del mandato, il gruppo di quasi tutti novizi della politica (la stessa Colau veniva dai movimenti per il diritto alla casa) scontò un po’ l’inesperienza della gestione di una complessa macchina comunale. Ma già dopo qualche mese l’amministrazione aveva iniziato a mettere in marcia molte misure importanti, e il tutto senza maggioranza (sono infatti riusciti a far approvare solo un bilancio).

IL COMUNE DI BARCELLONA è oggi quello che investe di più in spesa sociale (+50%); ha cambiato le norme per le contrattazioni esterne, imponendo clausole etiche, sociali, e femministe; ha aumentato le zone verdi e le piste ciclabili; ha lavorato per cercare di bloccare gli sfratti e per convincere le banche a cedere appartamenti sfitti; ha fatto approvare una rivoluzionaria norma che prevede che il 30% di ogni nuova costruzione debba essere dedicata all’edilizia popolare; ha messo ordine nel caos turistico, chiudendo 5mila appartamenti senza licenza (e multando le piattaforme come Airbnb); ha aperto nuovi asili nido, ha fermato per sospetti di corruzione un mega progetto urbanistico della passata amministrazione (nella zona della piazza Glòries) per rifare un nuovo concorso; ha rilanciato il progetto delle «mega-isole», grandi quadrati di strade al cui interno la circolazione di veicoli è limitata; ha portato la metro nell’unico quartiere dove non arrivava, Zona Franca; ha messo in piedi la prima azienda municipale di produzione energetica, totalmente verde, Barcelona Energia, e ha bloccato 16.500 tagli di luce alle persone più povere; ha creato un dentista municipale a prezzi accessibili (in Spagna il dentista non è coperto dal servizio sanitario pubblico); ha aperto un centro Lgbt, ha difeso i rifugiati e Open Arms, si è costituito parte civile nei processi contro i pestaggi della polizia il giorno del referendum dell’1 ottobre. Dopo alcune incertezze dell’inizio, l’amministrazione ha puntato anche sulla scienza e l’innovazione e Barcellona è diventata capitale europea della mobilità urbana. Ha lottato contro la lobby dell’acqua, abbassando del 10% la bolletta, e ha cercato (senza riuscirci) di mettere su un’agenzia funeraria pubblica (per dare la possibilità di funerali low cost) e di unire le due principali linee di tram lungo la Diagonal.

ADA COLAU è stata anche la sindaca che ha ricevuto più «mozioni di censura» dal consiglio comunale. I socialisti per un anno sono stati alleati di governo, prima di essere allontanati con un voto della militanza di Barcelona en comú perché dopo il referendum indipendentista appoggiarono l’applicazione dell’articolo 155 in Catalogna, quello che prevede il commissariamento della regione.
Per evitare di perdere il contatto con la gente, Colau ha inventato gli «incontri con la sindaca», per mantenere un dialogo aperto con i cittadini: una chiacchierata informale, ogni 15 giorni, senza telecamere e senza filtro, in scuole, biblioteche e centri sociali in tutta la città per tastare il polso e rispondere ai dubbi spontanei dei cittadini. Colau è stata anche la sindaca che ha gestito con equilibrio l’attentato de las Ramblas, nell’agosto del 2017.

IL PRINCIPALE AVVERSARIO di Colau oggi è Ernest Maragall, capolista di Esquerra republicana, il partito indipendentista in ascesa. Maragall, anziano ex socialista, ex ministro catalano ed ex assessore (negli anni 80 e 90), recentemente, dopo il cambio di casacca, è stato ministro anche del governo catalano di Quim Torra. Il suo nome è mitico a Barcellona: suo fratello, Pasqual, socialista, è stato uno dei più grandi sindaci della città, all’epoca delle Olimpiadi.

L’ex premier francese Manuel Valls, nato a Barcellona, su cui i poteri forti e Ciudadanos puntavano, alla fine non riuscirà a far fare il salto agli arancioni e rimarrà come un interessante aneddoto su come l’Europa ha cambiato la politica.

I socialisti guidati dell’ex vice di Colau Jaume Collboni cresceranno, trascinati dall’effetto Sánchez, ma non abbastanza. Gli eredi di Convergència, guidati dall’incarcerato Joaquim Forn (sua numero due la attuale ministra catalana Elsa Artadi) non avranno un grande risultato. Pp e Cup rischiano entrambi di non riuscire neppure a entrare in Consiglio comunale. Vox a Barcellona non ha voce in capitolo.

Che succederà dopo il voto? Nonostante l’aspro confronto fra Barcelona en comú ed Esquerra è probabile che i due arriveranno a un accordo, anche se Esquerra non esclude di guardare più ai suoi attuali alleati indipendentisti a destra (Convergència) e sinistra (Cup). Ma tutto dipenderà dai numeri.