Erano tredici anni – da Guilty pleasures, la seconda collaborazione con Barry Gibb – che Barbra Streisand non incideva brani inediti preferendo incursioni tra Broadway e dintorni. Walls (Columbia/SonyMusic) – da ieri nei negozi, inverte la tendenza con ben sette composizioni scritte ex novo e quattro riletture di evergreen. La sorpresa è che l’album della diva newyorkese è una raccolta dai toni decisamente politici sin dal titolo, «muri», un atto di accusa verso l’amministrazione Trump. A partire proprio da Don’t Lie To Me, uno dei tre pezzi da lei stessa cofirmati: «Come puoi dormire quando il mondo è sottosopra e tutto quanto abbiamo costruito viene distrutto? Qualcuno deve risponderne…», recita nell’inciso. In molte altre tracce ci sono allusioni o attacchi diretti alla Casa Bianca e al suo inquilino, come nella title track: «Questa canzone – spiega – esprime la mia speranza di fare in modo di costruire ponti piuttosto che muri. Ma ciò che mi sconvolge è che la gente troppo spesso costruisce anche dei muri dentro di sé».

PARTITURE ORCHESTRALI ineccepibili, arrangiamenti old style – non chiedete novità alla signora – elegantissimi, affidati a specialisti del settore: Walter Afanasieff, David Foster, William Ross, ritrovate tutto in un medley dove Imagine scivola dentro le armonie di What A Wonderful World, ovvero Lennon incontra Armstrong, in cui emerge la voce di Barbra a cui il tempo ha sottratto potenza ma non autorevolezza interpretativa. Discreti ospiti Michael Mc Donald e BabyFace nella cover di What the World Needs Now: «Molti pensano sia solo una canzone d’amore, ma Bacharach rivela che le liriche di Hal David, scritte nel 1965, avevano un sottotesto contro la guerra in Vietnam».

«SONO TEMPI terribili – spiega nel booklet – molti dei fondamentali principi della democrazia che noi diamo per scontati vengono erosi giorno dopo giorno: la libertà di stampa, la libertà di parola». Un disco politico, principio ribadito anche in un’intervista rilasciata al New York Times che le chiede se è oggi inevitabile per un artista essere politicamente impegnato: «Non ho una risposta, ciò che posso dire è che sin dal 1962 – anche grazie alla lungimiranza del mio agente di allora – ho il controllo artistico assoluto su qualunque cosa registri. E questo significa che nessuno deve dirmi ciò che devo o non devo cantare».

SULL’INCIDENZA di #MeToo nel music business ha una sua opinione precisa: «Nell’industria discografica è diverso, dipende da quanti dischi vendi, cioè dal valore economico dell’artista, indipendentemente dall’essere maschio o femmina…». Ciò che la sconvolge, spiega sempre al NyTimes: «Sono i preconcetti verso le donne di potere. Guardate quanto è accaduto a Hillary Clinton: aveva tutti i numeri per diventare una grande presidente degli Stati uniti, ciò non è accaduto perché una donna forte fa paura e genera sempre sospetto»