«Aung Sang Suu Kyi dovrà rendere conto dei suoi crimini, commessi in combutta con i militari» dice Barbet Schroeder alla presentazione del suo documentario Il venerabile W. (in uscita il 21 marzo), ambientato proprio in Birmania . Il film, però, «incontra» la leader politica birmana solo brevemente, dato che termina all’indomani della sua elezione e nel momento in cui i mass media cominciano a interessarsi alla persecuzione dei rohingya. Il protagonista è un altro: il venerabile Wirathu del titolo, monaco buddista e leader di un movimento antimusulmano, in «difesa» della «razza» birmana – e terzo esponente della «trilogia del male» del regista, dopo il dittatore ugandese Idi Amin Dada e l’«avvocato del terrore» Jacques Vergès: «Bisogna interessarsi al male – dice Schroeder – perché non è esterno a noi, ma fa parte dell’umanità. Con questo documentario volevo tracciare l’evoluzione storica di ciò che sta accadendo in Birmania».

WIRATHU, che dal 2001 predica una vera e propria guerra alla minoranza islamica del Paese , nel 2003 è stato incarcerato dal regime militare come sobillatore di una sanguinosa sommossa popolare contro i musulmani nella cittadina di Kyaukse. «Il suo sermone del 2003 – afferma Schroeder – per me è il più terribile: dice esplicitamente che farà in modo che i musulmani non sappiano più dove dormire né cosa mangiare». Rilasciato grazie a un’amnistia nel 2012 , il monaco ha ripreso da subito e con grande successo la sua attività anti islamica, che oggi si intreccia indissolubilmente con la pulizia etnica in corso nel Paese asiatico nei confronti dei rohingya.

«Ho convinto Wirathu a partecipare al film dicendogli che il pubblico francese era interessato a conoscere la loro politica antimusulmana, e che Marine Le Pen, di cui lui è un ammiratore, sarebbe potuta diventare la Presidente della Repubblica».
Nel giorno della strage nelle moschee della Nuova Zelanda le immagini di case, negozi, moschee dei musulmani birmani dati alle fiamme sembrano assumere una portata ancor più universale – «quello che è accaduto a Christchurch dimostra bene come le parole d’odio possano trasformarsi in atti molto facilmente e molto in fretta» dice Schroeder – ma il regista spiega che l’intento del suo film è sempre stato indagare il fenomeno dell’odio antimusulmano in Birmania in quanto manifestazione di un sentimento globalizzato. Come dimostrano alcuni luoghi comuni razzisti impiegati dall’associazione di Wirathu che spesso si ripetono identici a quelli che sentiamo anche in occidente.

E ALCUNE di queste menzogne, dice ancora Schroeder, sono riprese dalla stessa Aung Sang Suu Kyi che «tratta i rohingya come se non esistessero, etichetta come fake news gli stupri delle donne musulmane e sostiene che sono i musulmani stessi a dare fuoco alle loro case». Parole identiche a quelle del «venerabile» Wirathu.