Tra i protagonisti di Europe Now! al Bergamo Film Meeting, Barbara Albert ha presentato il suo ultimo lavoro Mademoiselle Paradis che ha concluso il lungo programma a lei dedicato e confermato la sensibilità del suo sguardo sulla storia e sul ruolo delle donne nella società. Uno sguardo che durante la sua carriera ha saputo cogliere, attraverso le sue protagoniste, i cambiamenti della società e i temi più urgenti dell’Europa. Il film rappresenta un momento di svolta nella carriera della regista che, libera dalla scrittura e dalla produzione, ha potuto concentrarsi sulla messa in scena e sull’esigenza di trovare nuovi modi di narrare le storie dei suoi protagonisti.
Cosa ha voluto dire per te concentrarsi solo sulla regia e a quali riflessioni ti ha portato?
Mi piace sempre scrivere però questo per me è un momento, da un punto di vista pragmatico, molto difficile, mi servirebbero quattro vite per poter fare tutto. Se si vuole scrivere bisogna concentrarsi solo su quello, come se si fosse in un tunnel. Da un punto di vista artistico, invece, ho delle difficoltà perché negli ultimi anni il mondo e l’Europa sono molto cambiati, così come i temi. Anche se ho già parlato di alcuni di questi, come quello dei rifugiati, ben diciannove anni fa, in Nordrand, resta un tema sempre molto importante. Oltre a nuovi temi penso sia importante trovare nuovi modi narrativi adatti all’attualità. Si parla sempre più di serie tv che di cinema e non escludo la possibilità di realizzarne una. Ma vorrei che si continuasse a parlare di cinema. Per me fare cinema è un modo per entrare nella società, non vorrei che diventasse qualcosa di vecchio, come un museo. Vorrei entrare a far parte della discussione attuale non per dire alle persone cosa fare, ma per aprire un dibattito; dopo tanti anni di lavoro nel cinema mi piacerebbe continuare ad avere una reazione.
Osservando la tua filmografia, «Mademoiselle Paradis» rappresenta i tuoi lavori precedenti e anche un punto di svolta nel tuo metodo; verso quale direzione andrà il tuo lavoro?
Ogni volta che ho fatto un film, in tutti questi anni, mi sono sempre detta che cercavo qualcosa di nuovo, che stavo facendo qualcosa di nuovo. In Nordrand, ad esempio, il mio punto di vista era completamente diverso rispetto a Free Radicals, così come per Falling, un film creato appositamente per delle attrici austriache con cui avevo già collaborato e che mi piacevano, immergendole in luoghi tipici dell’Austria; è stato una reminiscenza di un certo modo di fare film austriaci in un certo periodo. La realizzazione di un film è stata, veramente, la mia vita. Nel senso che facevo solo quello, in più c’era un vero e proprio gruppo di cinematografi austriaci ed eravamo sempre insieme. Ci siamo influenzati a vicenda, ad esempio la sceneggiatrice di Mademoiselle Paradis, Katrin Resetarits, è l’attrice di molti miei film. Però questa situazione è cambiata: mi sono trasferita a Berlino e alcuni cineasti purtroppo non ci sono più. Ogni volta cerco qualcosa di nuovo restando fedele a me stessa, al mio approccio al film e al mondo. Per me è molto importante avere, in tutti i film, uno sguardo altruista sull’umanità, sull’empatia, così come sui limiti dell’umanità senza fare film cinici e ironici… anche se a volte ci comportiamo in modo ridicolo.
In «Mademoiselle Paradis» è presente uno sguardo, una visione tattile degli oggetti e della luce, com’è stato il lavoro sulla fotografia?
La concentrazione è essenziale per realizzare un film e questo l’ho potuto veramente sperimentare con Mademoiselle Paradis; ed è anche estremamente difficile riuscire a ridurre, condensare le idee attraverso le immagini e avere una narrazione più semplice ma non stupida, mantenendo vari livelli di sottigliezza. Cristine Maier, la direttrice della fotografia con la quale avevo già lavorato per Nordrand e con la quale ero stata in Bosnia, mi ha aperto gli occhi su questo tema. Voglio fare film realistici perché quando ero a scuola mi ha colpito e mi è molto piaciuto il corso sul Neorealismo. Credo sia importante che il cinema abbia questo sguardo sensoriale sugli oggetti, riuscire ad avere l’impressione di toccare quello che vediamo. Cristine è particolarmente brava a fare questo, si concentra sui dettagli e sui primi piani proprio per avere questa fisicità. Per sentire la storia del film sono importanti le facce, le espressioni, i dettagli e le emozioni, anche per avere la possibilità di sentire quando qualcuno tocca un oggetto, un’altra persona, una superficie. Questa possibilità è un mistero dell’immagine e Cristine sa come avvicinarsi ai personaggi, anche perché questa capacità si lega a una parte della sua personalità. Cristine e i tecnici sono riusciti a realizzare questa luce palpabile, sembra di poterla toccare. Nonostante sia un film ambientato nel passato, volevo che il pubblico entrasse in quel mondo, dimenticando che è un film ambientato duecentocinquant’anni fa. Secondo me è importante avere questa connessione con il passato e con la storia che ci permette di capire le nostre radici e quindi la situazione attuale della società e della politica.
Com’è il rapporto delle donne nella scoperta di sé stesse e del loro spazio nella società?
Penso che sia importante raccontare la storia non detta del femminile e creare una nuova narrativa rispetto alle donne e alle loro storie. Credo che la posizione attuale e futura delle donne potrebbe cambiare se da piccole sentissero le storie delle grandi donne e non solo le storie dei grandi uomini. Mademoiselle Paradis è solo una delle milioni di donne le cui storie non sono state tramandate perché spesso, soprattutto nel cinema, si sostengono i grandi geni generalmente maschili. Non si dice «il lavoro di questa donna deve restare», anche se adesso la situazione sta cambiando. Negli ultimi dieci anni ho fatto parte, fondando un gruppo sia in Germania sia in Austria, di questa nuova collaborazione e sostegno crescente per il ruolo delle donne. Sicuramente non è così in tutti i paesi d’Europa, però sono ottimista nonostante sia difficile esserlo in questo momento.
In «Nordrand» le protagoniste vivono liberamente la loro sessualità e il tema dell’aborto. Come vede la situazione adesso in Europa?
Negli anni Novanta c’era una visione maggiore rispetto a questo tema, così come per altri. Sono nata negli anni Settanta e sono cresciuta sentendo questa grande libertà, purtroppo adesso mi sembra che ci sia un vero e proprio passo indietro. Ci sono delle discussioni e delle opposizioni, soprattutto in Polonia che è molto religiosa. Vivendo a Berlino riesco a vedere un nuovo punto di vista e anche due modi diversi di creare un governo: in Germania si cerca una sicurezza data dalla coalizione tra il partito socialista e i conservatori; mentre nei paesi dell’est Europa, come la Polonia, ad esempio – ma anche nella mitteleuropea Austria -, si va verso la direzione della destra radicale… direi che sono molto contenta di vivere a Berlino.
Le protagoniste dei tuoi film cercano il confronto con sé stesse attraverso l’altra in un rapporto a due o a cinque. In questo processo di scoperta che ruolo ha la madre?
Le donne non hanno sempre qualcuno, come per esempio la protagonista di Die Lebenden, ma quando una donna c’è, in effetti si sente questa solidarietà, questa presenza che aiuta, non per un appoggio eroico ma perché riescono a rispecchiarsi l’una nell’altra in un approccio alla vita. Questo influenza sia tutte e cinque le donne in Falling, sia in Nordrand e permette a tutte di apprendere un nuovo atteggiamento. Per quanto riguarda le madri, penso che non siano solo madri, ma principalmente donne con la propria storia e le proprie sofferenze, che sono alla base del loro comportamento nella storia. In Mademoiselle Paradis la madre è dominante e crudele perché ha avuto sempre questo sguardo sulla società, questo obbligo di sostenere il marito e la necessità di essere così rigida. Mentre la mamma di Nordrand è debole, non riesce a proteggere la figlia dal marito, ma in entrambi i casi rappresentano la sofferenza della donna nella storia. Invece in Free Radicals la madre non è assolutamente solo mamma, si concentra anche sui suoi desideri in quanto donna. Penso che sia anche interessante analizzare come e perché le donne riescono ad identificarsi con i personaggi maschili e non viceversa, dipende da come siamo cresciuti. Le donne sono cresciute dovendo essere empatiche con tutti e quindi anche con gli uomini, mentre gli uomini generalmente no. Anche se adesso mi rendo conto che c’è una nuova generazione di uomini e questo mi fa essere più ottimista.