Discontinuo, geniale, eclettico, inventore. Léonide Davidovitch Baranov, poi noto con lo pseudonimo Vladimir Baranov-Rossiné (Baranoff-Rossiné), è uno dei meno noti tra i «russi a Parigi» negli anni Dieci. Eppure ha al suo attivo la presenza di opere al Pompidou di Parigi, al MoMA di New York, nella collezione Thyssen-Bornemisza, oltre che in alcuni importanti musei russi; le mostre al Pompidou nel 1972, alla Tret’jakov di Mosca nel 2002, a San Pietroburgo nel 2007; l’ampio spazio a lui dedicato nella mostra Analogías Musicales. Kandinsky y sus contemporáneos, tenuta a Madrid nel 2003; l’interesse di Jean-Claude e di Valentine Marcadé, l’attenzione di Guillaume Apollinaire e di André Salmon negli anni parigini. Ma per lungo tempo è stato pressoché dimenticato, il che non ha impedito, come sempre accade, una certa fortuna sul mercato; dimenticato forse anche per essersi dedicato, dopo il periodo delle avanguardie, a invenzioni tecniche, come un apparecchio per studiare le pietre preziose, o il camoufage pointilliste con cui applica i colori all’arte militare, o la macchina «multiperco» per la distribuzione di bibite.
Febbraio 1917, ritorno in Russia
Certo il ritorno in patria, alla Rivoluzione del febbraio 1917, non ha favorito la libertà delle sue bizzarre forme danzanti. Attivo al Vkhutemas a Mosca, dove insegna la genesi delle forme astratte, sembra poi lentamente eclissarsi; quando anche Malevich, con cui è in contatto, e molti protagonisti del Costruttivismo vedranno, dopo la morte di Lenin, andare in fumo l’utopia estetica, Baranov sarà ritornato a Parigi. Nel 1924 realizza due concerti a Mosca, al Teatro Mejerchol’d e al Bol’šoj, con il piano optofonico, forse la sua creazione più nota, distrutta, ricostruita sul suo progetto e donata al Pompidou. È un’«invenzione» spesso considerata un precorrimento dell’arte cinetica. Una tastiera produceva simultaneamente suoni e proiezioni di luci in movimento, colorate in base al principio della corrispondenza di ogni nota musicale a un colore. Esperimenti in tal senso non erano in realtà del tutto nuovi. Nella cultura simbolista francese intrisa di neoplatonismo, e fortemente segnata dal concetto, poi giustamente corretto, che l’idea musicale sia libera dal soggetto al contrario dell’idea pittorica, già Sérusier aveva stabilito una stretta analogia tra colori e note musicali; altrettanto Skrjabin, con i suoi spettacoli costruiti con musica e colori, noto nell’ambiente del Blaue Reiter e amato da Kandinskij; e quest’ultimo, un altro tra i tanti russi accorsi in Europa, aveva portato a Monaco i suoi ricordi del teatro di Mosca e le nuove istanze della pittura francese e aveva pensato a una «composizione scenica» in cui si fondono tutte le arti. Nell’ambito del futurismo italiano, Arnaldo Ginna con la teorizzazione della «musica cromatica» era arrivato, tra il 1910 e il 1912, alle soglie di una creazione simile al piano optofonico. Altre sperimentazioni collegabili a questo strumento sono i Rhythmus, film astratti di Hans Richter (1921-’25), e la Sinfonia diagonale di Viking Eggeling (1924).
Ma Baranov-Rossiné è stato anche uno straordinario pittore, e come tale è meno noto. Dopo una formazione a San Pietroburgo, dove è in contatto con i fratelli Burljuk, lo troviamo a Parigi tra il 1910 e il 1914, ben inserito nell’ambiente artistico, in contatto, oltre che con i francesi, con i russi residenti qui, in particolare con Archipenko e Sonia Delaunay-Terk, anch’essi ucraini. È più ricordato per le sue opere astratte, dipinte tra il 1912 e il 1915, o poco più tardi, quando viaggia nei paesi scandinavi. Meno noti sono i dipinti precedenti, che dicono molto, invece, sulla sua formazione e sulle sue simpatie esoteriche, nonché le sculture polimateriche create intorno al 1913 e riprese negli anni trenta.
Le prime opere sono segnate dal neoimpressionismo, dall’esperienza di un Cézanne geometrizzato, e soprattutto dal «cubismo della rive-gauche»; ma ben presto entrano nel clima dell’orfismo, dei Delaunay e soprattutto di Sonia, attivissima moglie di Robert, immersa nella tradizione pittorica ucraina eminentemente fondata sulla luce e sul colore. Rossiné (così ama firmarsi) si avvicina ai pittori contrapposti da Apollinaire al cubismo, nel 1913 dichiarato morto e sostituito dal cubismo «orfico».
Le sue opere astratte nascono dunque sul mito di Orfeo, re della Luce (la Lumière di Apollinaire, vista, platonicamente, con gli occhi dell’anima), ma anche colui che col suo canto immortale trascina tutte le creature. La Sinfonia n. 1 del MoMA è una scultura del 1913 in legno e cartone, molto vicina ai Médrano di Archipenko, che attira l’attenzione di Apollinaire agli Indépendants del 1914. Più chiaramente coinvolti nel tema musicale sono Rapsodia norvegese (1917), del Museo di San Pietroburgo, e soprattutto la Composizione astratta II del Pompidou, forse del 1912-’13 (per Marcadé 1920). Come nelle strutture di altri dipinti del 1913 (Maternità, citata in una recensione di Salmon al Salon d’Automne), sagome nastriformi danzano librandosi in uno spazio tridimensionale, sfumandosi nei toni dal rosso al giallo al verde al violetto, arrotolate come un cartiglio, intrecciate e poi liberate nel vuoto, colpite dalla luce che ne esalta una sorta di plasticità astratta. Va ricordato il fascino ricorrente esercitato sul pittore dall’anello di Möbius, un nastro percorribile con una linea su un’unica faccia all’infinito: conferma della fantasia del futuro inventore di complicati meccanismi.
Il termine di confronto è stato indicato nella fase «tubista» di Léger, cui fa riferimento anche la fase cubofuturista di Malevich. Ma un altro accostamento, assai meno citato, è quello alla Danza alla sorgente di Picabia (1912), che tra l’altro è compagno di studi di David Burljuk, e, altrettanto legate al tema della danza, Udnie e Edtaonisl (1913). In un’intervista del 1913 Picabia diceva: «Io improvviso i miei quadri come un musicista la sua musica. Le armonie dei miei studi nascono e prendono forma sotto il mio pennello come le armonie del musicista escono dalle sue mani».
Sole rosso, fiori a sei petali
Le analogie musicali, nel corso del secondo decennio del Novecento, vanno lette in stretto rapporto con un clima spiritualistico, che spesso sfocia nella cultura esoterica, e questo vale anche per il nostro. Ne sono conferma alcuni dipinti non propriamente astratti, degli anni 1910-’12, come le due versioni di Adamo ed Eva e numerosi splendidi schizzi di un ciclo svolto tra il 1910 e il 1913, e Apocalisse del 1912. Appaiono forme geometriche proprie degli schemi cosmogonici, che vediamo anche nei dipinti di tematica musicale di Kupka (Amorpha. Fuga a due colori, 1912), più decisamente astratti. Il sole rosso, i segmenti di cerchio intersecati e le forme floreali a sei petali trovano riscontro in simboli geometrici ricorrenti nell’ambiente dell’occultismo e della teosofia (pensiamo alla svedese Hilma af Klint). La corrispondenza tra «vibrazioni» che collegano l’«aura» al «cosmo» è premessa fondamentale di gran parte della pittura «musicale». Come anticipava Baudelaire nelle Corréspondances: «i profumi, i colori, i suoni si rispondono».
Come tutto questo sia poi confluito nel lavoro extra-artistico del nostro Vladimir resta un mistero. Ma anche le fantasie esoteriche sui rapporti tra arte e scienza rientrano in quella esaltazione della «quarta dimensione», la «dimensione dell’infinito», misticamente suggestionata da Poincaré e da Einstein, presente nell’ambiente artistico tanto parigino quanto russo.
Si è accennato a tante coincidenze; ma gli anelli aperti a ventaglio di Rossiné ne fanno un caso unico nell’incontro tra Parigi e Mosca prima della Rivoluzione d’Ottobre. Il secondo e ultimo soggiorno parigino, iniziato nel 1925, ritmato dall’attività espositiva, in cui si avvicina anche a Picasso e al surrealismo, e dall’insegnamento di coordinazione audio-visiva da lui fondato, termina nel 1942 nella Francia occupata. Baranov-Rossiné, ebreo, muore in un lager nel 1944, all’età di 56 anni.