Il presidente americano Barack Obama si recherà molto probabilmente in Sudafrica per i funerali di stato di Nelson Mandela. Ieri ha ordinato che negli Usa le bandiere fossero calate a mezz’asta in tutti gli edifici pubblici a partire dalla Casa Bianca, fino al 9 dicembre. Nel suo libro, «Dreams from my father», racconta di essersi avvicinato, durante gli anni dell’università all’Occidental College di Los Angeles, ai grandi padri della cultura afroamericana, Du Bois, Fanon e Malcom X, e di aver cominciato a rivolgere gli occhi verso i movimenti di liberazione nel resto del mondo. Così Barry, come era stato sempre chiamato in famiglia e dagli amici, volle essere chiamato con il suo nome africano, Barack, e cominciò a mobilitarsi in favore della causa dell’African National Congress. «Mentre i mesi passavano mi sono trovato coinvolto in un ruolo più ampio, contattavo i rappresentanti dell’Anc per farli venire a parlare nel campus, scrivevo lettere ai professori, facevo volantinaggio, discutevo le strategie, e mi rendevo conto che la gente cominciava ad ascoltare le mie opinioni», ha scritto nel suo libro. E giovedì notte, appresa la notizia della morte, ha detto di «non poter immaginare la mia vita senza l’esempio di Nelson Mandela» ed ha ricordato come «la mia prima azione politica» fu quel comitato con cui, insieme ad altri studenti, riusci a spingere l’università a ritirare gli investimenti con le imprese che facevano affari con il Sudafrica dell’apartheid.