La situazione in via Cupa (Stazione Tiburtina, Roma) è rimasta la stessa da due mesi, anzi è peggiorata. L’acquazzone che l’altra sera si è abbattuto su Roma porta cattivi presagi per le prossime settimane: i quasi 300 migranti presenti in strada hanno trovato un riparo in tende sovraffollate o stringendosi sotto i 4 gazebo montati dagli attivisti. I più impavidi hanno respinto l’onda lunga della pioggia armandosi di scope e ricacciando l’acqua nei tombini di via Tiburtina.

La giornata di lunedì era già iniziata male: le scorte di latte e biscotti provenienti dalle donazioni sono quasi terminate e il pranzo non è stato sufficiente per tutti gli ospiti. È la prima volta che succede quest’anno. Questo, da un lato, evidenzia che non può più essere sufficiente la mobilitazione delle cittadine e dei cittadini per sopperire ai beni di prima necessità e, dall’altro, che i numeri stanno salendo in maniera continua. Molto probabilmente la situazione non migliorerà a breve: lo sbarco di oltre 13.000 migranti sulle coste italiane della settimana scorsa promette di avere ripercussioni anche a Roma.

Ai nuovi migranti in arrivo vanno aggiunti i respinti a Ventimiglia e Como che, in un perverso gioco dell’oca, vengono rimandati dal ministero dell’Interno nei centri del Sud, dai quali poi tornano a Roma.

La città continua ad essere impreparata: solo grazie alla battaglia portata avanti da più di un anno dagli attivisti di Baobab Experience sono stati ricavati circa 120 nuovi posti per i migranti in transito in due strutture della Croce Rossa e della Caritas, ma è evidente che non sono sufficienti. La tendopoli «istituzionale» doveva essere pronta prima per Ferragosto, poi entro la fine del mese scorso.

Ad oggi l’apertura è rimandata a data da destinarsi perché la Protezione civile, che avrebbe dovuto provvedere, è impegnata nelle zone del terremoto. Così dicono dal Campidoglio, ma la motivazione suona debole: la soluzione proposta dall’assessorato alle politiche sociali prevede 150 posti (comunque insufficienti) in tenda e il coinvolgimento di numerose altre associazioni impegnate nell’accoglienza ai migranti. Non si parla, quindi, né di un’opera faraonica né di un peso totalmente gravante sulle spalle delle istituzioni.

Lo sforzo richiesto per preparare il campo non sembra così grande, considerando anche la pressoché totale assenza delle istituzioni tutte – fatta eccezione per la prefettura che effettua blitz per le identificazioni ogni due settimane, coinvolgendo quattro diversi corpi in tenuta anti sommossa – negli ultimi 16 mesi.

Si aggiunge la volontà politica di non aiutare i volontari e le associazioni che operano in via Cupa in condizioni di emergenza. Ad oggi è stata rifiutata la richiesta di bagni chimici (ce ne sono 7, pagati con le donazioni di privati), di brandine e non è stata data l’autorizzazione per installare una cucina da campo. La motivazione addotta è che «non si possono dare segnali che l’accampamento di via Cupa sia avallato dal Comune».

Neanche le motivazioni igienico-sanitarie riescono a scalfire le mura in cui le istituzioni si sono rinchiuse per salvaguardare la loro ignavia sul tema dei migranti in transito. Non resta quindi che continuare a contare sui cittadini, su chi non ha paura di scegliere da che parte stare, su chi sa bene quali sono i valori in gioco e le ripercussioni che le nostre azioni avranno sul futuro di tutti, migranti e residenti.