Le considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia sono un vero esempio di discorso del Potere, che incide la realtà con la sua stessa forza enunciativa. Non ha bisogno di roboanti annunci dalla dubbia consistenza (ricorda qualcuno?) o di una serie di bugie soggette ad acrobatiche marce indietro (ricorda qualcun altro?) come spesso accade nel mondo della politica. Da posizioni di potere saldamente al riparo dalle oscillazioni del consenso – che non sia quello dei mercati finanziari – esso a tratti espone la sua ideologia, prescrive i suoi ordini e può anche dire alcune verità.

Bisogna ricordare che fu Ciampi nelle sue Considerazioni del 1980 ad annunciare con cinica eloquenza l’arrivo della temperie neoliberista in Italia. Diceva infatti: «L’ultimo decennio ha visto crescere ancora la somma delle domande sociali rivolte alle strutture pubbliche. E’ giunto a un punto di tensione il movimento che prese avvio dalla crisi degli anni Trenta e che portò in tutti i paesi ad assegnare alla politica economica e sociale un ruolo centrale e permanente». In breve: la festa dei diritti e del welfare è finita. Curioso che Ciampi sia diventato un’icona del centrosinistra senza sostanziali critiche a sinistra…

Il discorso dell’attuale governatore, Visco, del 26 maggio 2015, ha subito l’estrazione di quei passi che meglio intercettano i temi sulla ribalta del (provinciale) dibattito politico. Crescita, riforme del lavoro, innovazione. I giornali hanno citato soprattutto il primo paragrafo «L’economia italiana: consolidare la ripresa». E gli altri?

Il secondo paragrafo, «Le banche e il finanziamento dell’economia» dapprima tesse le lodi della politica espansiva di Draghi; roba di livello europeo, lontano dalle beghe nazionali. Poi infila in un paio di paragrafetti un tema che invece è molto più vivo. Dice infatti: «Lo sviluppo di un mercato secondario dei crediti deteriorati, oggi pressoché inesistente, contribuirebbe a riattivare appieno il finanziamento di famiglie e imprese».

Ne aveva già parlato a febbraio e aprile, e ne parla in modo puntuale il Rapporto della Banca d’Italia sulla stabilità finanziaria (aprile 2015, pp. 23-24).

Il tema è questo: se un debitore non restituisce i soldi alla banca, generando una sofferenza (dicono proprio così… in gergo tecnico), questi crediti deteriorati chi se li accolla?

Nella stampa il tema è chiamato Bad bank (ad esempio: commento di A. Quadro Curzio, «Perché serve la bad bank», Sole 24-Ore, 22 febbraio), e dovrebbe essere lo Stato a prendersi i crediti “cattivi” (sull’entità dei quali il recente Rapporto dell’Ocse – giugno 2015 – non mostra grande ottimismo: “Il settore bancario è ancora fragile e non si trova in una buona posizione per sostenere adeguatamente l’investimento privato»).

Naturalmente per far ripartire il credito alle imprese e alle famiglie. Si vede avvicinarsi un’operazione (caldeggiata anche da altre vacche sacre dell’establishment, e dallo stesso Padoan) simile a quella imbastita per la rivalutazione delle quote della Banca d’Italia: creare un consenso mediatico verso un’opzione politica, spianando la strada al governo per attuarla, millantando benefici verso la collettività (secondo i meccanismi di mercato, eventuali) a fronte di un costo (certo) coperto dalle casse pubbliche.

Non sarà semplicissimo far ingoiare alle autorità europee, i custodi dei principi della concorrenza, che non si tratta di aiuti di Stato (ed infatti la tecnicalità dell’operazione è ancora indefinita).

Rimane da capire quanto sarà difficile far accettare ai cittadini e alle classi subordinate il fatto che in epoca di tagli feroci al sociale si aiutino ancora le banche.

Vedremo cosa succederà in Parlamento.