Sulle insidie dello spread torna a parlare Bankitalia. E lo fa mettendo sotto accusa l’intera manovra del governo Lega-M5S. E’ forse la prima volta che l’istituto di via Nazionale spara così pesantemente sul «quartier generale» ed è per questo, spiegano a piazza Affari, che i mercati finanziari si sono agitati tantissimo. Ieri ancora una volta il differenziale tra Btp e Bund ha sfondato quota 300 con il rendimento a 10 anni che ha toccato il 3,39%. Ma quello che preoccupa gli operatori è che lo spread è ormai attorno ai 300 punti base da più di 5 mesi. «Una cosa è la naturale oscillazione dello spread come è avvenuto in passato. Altra cosa è assistere da mesi a un differenziale che non si schioda dai 300 punti», spiega un operatore di Borsa.

Una pesante zavorra che potrebbe diventare devastante. Anche la Borsa è rientrata in zona grigia: chiusura negativa per Piazza Affari con l’indice Ftse Mib che ha ceduto a fine giornata lo 0,88% a 19.258 punti.

Ma veniamo alla «requisitoria» fatta dagli uomini di Bankitalia sulla manovra. Il nemico da battere è la permanenza dello spread a quota 300. Ma in verità il responsabile numero uno di questa pesante zavorra che rischia di affossare la già debole economia italiana è la politica economica del governo in carica. In sei mesi, (ovvero da quando è insediato l’esecutivo Conte-Salvini-Di Maio), l’economia italiana, e quindi anche le famiglie italiane, hanno bruciato in spread 1,5 miliardi di euro. E il conto del rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato potrebbe salire ancora: a 5 miliardi l’anno prossimo e a 9 miliardi in quello successivo. Il differenziale con i titoli tedeschi va dunque abbattuto subito e vanno ristabilite certezza e fiducia, ha detto il vicedirettore generale Luigi Federico Signorini. La crescita dei tassi di interesse sul debito pubblico, spiega Bankitalia, «ha un effetto in qualche modo comparabile a una stretta monetaria; una stretta però assai più marcata e rapida di qualsiasi ipotizzabile (futuro, graduale) processo di normalizzazione della politica dell’Eurosistema».

Il rischio che si corre, secondo Signorini, è quello di «vanificare tutto l’impulso espansivo atteso dalla politica di bilancio. Davanti a un’eventuale nuova recessione l’Italia si troverebbe con un disavanzo relativamente elevato, come prima della crisi, e un’incidenza del debito sul prodotto perfino superiore. I margini di manovra sarebbero, di nuovo, ristretti».

La pesantissima pressione di Bankitalia sul governo probabilmente non sortirà alcun effetto. Matteo Salvini e Luigi di Maio lo hanno detto in tutti le salse: indietro non si torna. Sulla linea dura si è allineato anche il ministro del Tesoro Giovanni Tria che ha accusato Bruxelles di aver sbagliato tutte le previsioni. Ma ciononostante sia i mercati sia Bankitalia sperano che qualcosa possa accadere prima del baratro della sanzione. «Auspico che, nell’ambito dell’interlocuzione in corso con la commissione e con il Consiglio europeo, si trovi una soluzione che concili il rispetto sostanziale delle regole cui l’Italia è tenuta e che assicurano un credibile percorso di rientro nel medio termine, con accorte misure di sostegno all’economia e con il perseguimento degli obiettivi politici del governo e del Parlamento». Tra l’altro la previsione di crescita dell’Italia fatta da Bankitalia è ancora più bassa di quella ipotizzata da Bruxelles, si attesta sull’1,1% contro l’1,2 previsto da Moscovici. Comunuqe lontani dall’1,6%.

Via Nazionale non risparmia giudizi anche sui punti cardine della legge. Il reddito di cittadinanza va esaminato attentamente, evitando abusi con controlli specifici, mentre qualsiasi intervento in materia previdenziale, che il legislatore è libero di scegliere, non può comunque esimersi dalla necessità di preservare la sostenibilità del sistema. Più tranchant invece il parere sulla pace fiscale e sulle sanatorie previste dal decreto collegato alla manovra. In questo caso il richiamo è esplicito perché il condono fiscale potrebbe «determinare disincentivi all’adempimento regolare degli obblighi tributari», in pratica spingerebbe a non pagare le tasse.