La definizione di «delitto perfetto» per la vicenda Ilva è appropriata. Peccato però che venga dall’attore che dovrà risolverla. E in tempi strettissimi: tre settimane.
La conferenza stampa – un inedito al ministero dello Sviluppo economico – con cui Luigi Di Maio doveva illustrare il parere ricevuto dall’avvocatura dello stato riguardo la legittimità della gara poi vinta da AmInvestCo guidata da Arcelor Mittal ha aumentato i dubbi che si addensano sul destino di Taranto e dei 14mila lavoratori del gruppo siderurgico in Italia.

SMENTENDO LE ANTICIPAZIONI di stampa che da giorni davano come «positivo» il parere, Di Maio ha spiegato come il giudizio dell’avvocatura porti a considerare come illegittimo il bando. Come si spiegano letture diametralmente opposte dello stesso testo? La risposta è ardua semplicemente perché lo stesso Di Maio ha precisato che il parere «sarà reso pubblico solo al termine della procedura perché non ostensibile per espressa richiesta di dell’avvocatura».

TOCCA DUNQUE FIDARSI delle parole del vicepremier che comunque ha citato il passaggio più forte del parere al riguardo della mancanza nell’applicazione della gara dei rilanci sull’offerta iniziale: «Tale omissione può assumere rilievo di eccesso di potere».

«Per noi il bando è illegittimo ma non basta per annullarlo – ha continuato Di Maio – serve «un vizio di interesse pubblico concreto e attuale». E questo apre ad un prolungamento della procedura («lo abbiamo fissato in 15 giorni») in cui assieme al ministero dell’Ambiente Di Maio cercherà di appurare «se l’allungamento dei tempi di attuazione del piano ambientale si configuri come tale».

Se il bando per la vendita di Ilva preparato dall’ex ministro Carlo Calenda – mai nominato da Di Maio – era «pieno di errori», ciò però non implica che il suo annullamento faccia perdere a Mittal il diritto a veder rispettato il contratto di affitto e poi acquisto stipulato in seguito con lo stesso Calenda. «Se Mittal va al Tar, vince», ricorda Di Maio che riconosce «la totale buona fede» del gruppo franco-indiano.

STA DI FATTO CHE AL MOMENTO Di Maio non ha preso alcuna decisione esecutiva. Si lascia aperta ogni porta (anche quella della riconversione: «sulla produzione di acciaio deciderà il presidente del consiglio»), ma continua a considerare come principale la via dell’accordo con Mittal: «Vogliamo un Ilva pulita e che dà tutti i posti di lavoro», precisa. I problemi di legittimità sui tempi del piano ambientale hanno già portato a miglioramenti nelle tempistiche e nei fondi da parte di Mittal, il vero scoglio è quello dei 4 mila esuberi. Insomma, Di Maio vuole aumentare la pressione su Mittal ma alla fine la considera pragmaticamente l’unica soluzione.

È IL FATTORE TEMPO AD IMPORRE questa strategia. «Dobbiamo risolvere in tre mesi quello che è stato fatto in 6 anni», continua a ripetere l’attuale titolare del Mise. Che conferma la deadline del 15 settembre – «Non credo si possa andare oltre» – giorno in cui Mittal, contratto alla mano, può prendere possesso di Taranto e degli altri stabilimenti Ilva. Lo stesso favore tempo che ha portato Di Maio a non sostituire i tre commissari (Gnudi, Carruba e Laghi) criticati sia nel parere dell’Anac che in quello dell’avvocatura per aver avallato le modifiche al bando iniziale e sulla immunità penale prevista per loro e per Mittal.

Il cosiddetto piano B – una cordata tra Invitalia e il gruppo di Cremona Arvedi, che in queste settimane è stato al Mise – è molto improbabile, così come la possibilità «che qualche cordata vecchia o nuova chieda di riaprire il bando».
Per questo Di Maio ha specificato che «il tempo stringe e che la trattativa fra Mittal e sindacati deve andare avanti» puntando «ad arrivare ad esuberi zero» come richiesto dagli stessi sindacati e mai riuscito in dieci mesi di trattative guidate da Calenda e dalla viceministra Teresa Bellanova.

LE REAZIONI ALLA CONFERENZA stampa di Di Maio sono furiose da parte Pd. Se Carlo Calenda definisce «fesserie» le parole del suo successore e chiede di rendere pubblico il parere dell’avvocatura, i sindacati confederali chiedono al ministro di prendersi la responsabilità delle scelte chiedendo una rapida convocazione al ministero. «Non intendiamo essere parte o vittime del delitto perfetto», ha attaccato Francesca Re David (Fiom). «Non faremo nessun incontro con Mittal se non ci sarà anche il governo», ribadisce Palombella (Uilm). «Il delitto perfetto è chiudere l’Ilva», dice Bentivogli (Fim).

DA PARTE DI MITTAL parole al miele. «Speriamo di ricevere il supporto del governo per raggiungere una conclusione positiva nella negoziazione con le unioni sindacali il più presto possibile», ha detto un portavoce del gruppo. «Accogliamo con soddisfazione il riconoscimento da parte del ministro Di Maio della nostra buona fede».