Per il lancio del nuovo album, Sale, la band veronese C+C=Maxigross ha preso una decisione radicale: pubblicare le dieci tracce esclusivamente su Bandcamp, evitando tutte le altre piattaforme di streaming, a cominciare da Spotify. «Bandcamp dà valore alla musica e ai musicisti» spiega Tobia Poltronieri, voce e chitarra del gruppo. «Quindi abbiamo deciso di uscire solo lì e come data abbiamo scelto lo scorso Bandcamp Friday». Cioè il venerdì del mese in cui la piattaforma devolve i proventi interamente all’artista, senza trattenere alcuna percentuale. L’iniziativa è nata a marzo 2020 per sostenere i musicisti, colpiti dallo stop agli spettacoli dal vivo, e prosegue fino a fine anno. «Durante il 2019, per tutti gli ascolti di tutti i nostri album» prosegue Poltronieri, «album in cui abbiamo messo dedizione e impegno, abbiamo guadagnato 90 euro: non è sostenibile». Parliamo di una band, dedita al folk psichedelico, che conta decine di migliaia di ascolti.

D’ALTRONDE la critica sui bassi compensi è arrivata da molti musicisti, anche più popolari e internazionali. Nel 2015, per esempio, il fondatore dei Portishead Geoff Barrow scrisse in un tweet che da 34 milioni di streaming aveva guadagnato, al netto, 1.700 sterline. Oppure Jay Z, il quale nel 2017 ha ritirato quasi interamente la sua discografia, per poi tornare solo nel dicembre 2019. Il malcontento in tempi di pandemia è cresciuto al punto che una petizione inaugurata lo scorso mese da un gruppo di musicisti statunitensi e intitolata «Justice At Spotify» ha collezionato più di 19 mila firme. L’obiettivo: ottenere 1 centesimo di dollaro a streaming.

NONOSTANTE Spotify non abbia mai comunicato dati ufficiali, gli analisti di Soundchart e altri del settore ritengono che la piattaforma di Daniel Ek al momento paghi per ogni ascolto intorno a 0,003 dollari, dei quali poi il distributore, necessario per accedere al servizio, tratterrà una parte e un’altra l’eventuale etichetta discografica. Apple Music si aggira intorno a 0,005 dollari ad ascolto, Google Play Music poco meno e Amazon Music circa quanto Spotify. Il sistema di pagamento che utilizza Spotify, infatti, è cosiddetto pro rata. Significa che i proventi degli abbonamenti e quelli della pubblicità vengono sommati, viene trattenuta la percentuale che spetta alla piattaforma e il resto è redistribuito in base al numero di ascolti. In poche parole, se pago un abbonamento e ascolto solo i C+C=Maxigross, i Portishead e Laura Agnusdei, i miei soldi andranno in buona parte ad Ariana Grande, Ed Sheeran e Justin Bieber, gli artisti più ascoltati. Laura Agnusdei, sassofonista e compositrice sperimentale di stanza a Bologna, ha studiato a fondo la questione, confrontandosi con i colleghi iscritti a Nuova Musica, un network per mettere in contatto i molti musicisti della scena indipendente.

«IL GENERE che faccio non è favorito da queste piattaforme e fatica a inserirsi nel tipo di ascolto funzionale che le varie playlist propongono» ha spiegato Agnusdei. «Per quanto riguarda i compensi, già passare a un sistema user centric sarebbe un cambiamento importante». Questo sistema permetterebbe di destinare i soldi di un ascoltatore a chi ha effettivamente ascoltato. E secondo Agnusdei, che ha appena pubblicato un remix del suo album Laurisilva, «Bandcamp in questo senso offre una valida alternativa, perché chi fa musica è il distributore di se stesso».
Su Bandcamp la gestione è del tutto trasparente: il musicista carica direttamente la propria musica, decide il prezzo a cui venderla e la quantità di ascolti gratuiti da consentire, mostra eventuali gadget in commercio e la piattaforma prende una percentuale in caso di acquisto, del 15% sulla musica e del 10% sui gadget.