Bandar bin Sultan va in pensione, l’uomo delle operazioni segrete più sporche, il fautore dell’intervento massiccio dell’Arabia saudita nella guerra civile siriana, l’amico della famiglia Bush che ha pesantemente criticato la politica dell’Amministrazione Obama verso Tehran e Damasco, è uscito di scena martedì – «esonerato su sua richiesta con un decreto reale», ha comunicato l’agenzia statale Spa – e sostituito dal generale Yousef Al-Idrissi. Stavolta non c’è una prova d’appello per il principe, già rimasto in disparte per anni dopo gli attacchi alle Torri Gemelle e poi messo, nel luglio 2012, a capo dell’intelligence saudita con l’incarico di rovesciare Bashar Assad. Ufficialmente all’estero per motivi di salute, Bandar bin Sultan è vittima della lotta tra le varie fazioni ai vertici della famiglia reale e soprattutto di errori commessi nella gestione a dir poco spregiudicata del “file” siriano.

Il decreto dell’anziano e ammalato re Abdallah indica che la fazione del principe Sultan ora è ai margini del potere. La svolta è stata la nomina del suo rivale, Muqrin bin Abdul Aziz, a vice principe ereditario. Bandar che nel 2012 aveva sbeffeggiato Muqrin dopo avergli preso l’incarico di capo dell’intelligence – di fatto la terza carica più importante dopo quella di re e principe ereditario in un paese stretto alleato di Washington e invischiato in operazioni segrete a danno di altri Stati della regione – ora paga il conto della sua infinita arroganza e sete di potere. Oltre a Bandar, di recente anche altri discendenti dello scomparso principe Sultan sono stati messi in disparte. Khaled bin Sultan è stato sollevato dal suo incarico di vice-ministro della difesa mentre l’ambizioso Salman bin Sultan è stato fortemente ridimensionato.

I passi falsi principali compiuti da Salman riguardano però la Siria. Ex ambasciatore (per decenni) negli Stati Uniti, senza scrupoli, abituato ad usare nemici e amici per fare gli interessi sauditi e diffondere il wahabismo sunnita più radicale, l’ex capo dell’intelligence ha investito tempo e fondi ingenti per riorganizzare le principali formazioni islamiste del fronte anti-Bashar Assad. A lui si deve la nascita alla fine della scorsa estate del “Fronte Islamico” che racchiude le principali milizie islamiste siriane. Una potente coalizione di forze che non appoggia il jihad globale ma che è ugualmente molto vicina all’ideologia di al Qaeda (la “filiale” siriana di al Qaeda resta il “Fronte an Nusra”, per scelta di Ayman al Zawahry che ha sconfessato lo “Stato Islamico in Iraq e nel Levante”). In questo modo Bandar è riuscito a ridimensionare il ruolo dei Fratelli Musulmani e dell’Esercito libero siriano (Els), sostenuti dal rivale Qatar, mettendo in mani saudite il volante della guerra contro Damasco.

Ha però messo in allarme Washington contraria, almeno a parole, a finanziare ed armare i qaedisti. Non solo. L’Amministrazione Usa ha accolto con rabbia le accuse durissime rivolte dal principe Bandar a Barack Obama dopo la decisione presa dal presidente americano di non attaccare militarmente l’Iran e la Siria e di cercare di trovare un compromesso politico con la cosiddetta “Mezzaluna sciita” che tanto spaventa la casa reale saudita e altre petromonarchie del Golfo. Nelle soluzioni diplomatiche volte a sanare i contrasti emersi negli ultimi mesi tra Stati Uniti e Arabia saudita, è perciò rientrata anche la testa di Bandar bin Sultan. Lo si era già capito lo scorso febbraio quando Riyadh ha ordinato il rientro immediato nel paese dei jihadisti sauditi che erano andati a combattere in Siria, nel quadro dei disegni strategici di Bandar. Poi sono arrivate le “cure all’estero” per una misteriosa malattia. Quindi le voci di una rimozione già avvenuta ma non ancora comunicata. Infine l’esonero e l’uscita di scena. E stavolta per il principe dell’intrigo tornare in sella sarà impossibile.