Nella ricetta che il primo vicepresidente Miguel Diaz-Canel ha proposto il 15 giugno nel suo intervento conclusivo del VII Congresso della Federazione studentesca universitaria vi è la necessità di «avvicinare» il partito comunista e il governo ai giovani mediante «nuovi codici di comunicazione». Per questo, il leader politico che più sembra incarnare la linea di riforme volute dal presidente Raúl Castro, ha espresso la volontà del governo cubano «di sviluppare l’accesso a internet, soprattutto come strumento per aumentare la conoscenza. E lo faremo — ha continuato- nella misura in cui lo permettano le possibilità tecniche e finanziarie».

Dieci giorni prima di questo intervento, il 4 giugno, la società statale di telecomunicazioni Etecsa aveva aperto ai cittadini 118 nuove «sale di navigazione in internet» dotate di 334 computer, nelle quali vengono offerti anche servizi di sola posta elettronica e di navigazione nella rete cubana (Intranet). I prezzi sono differenziati, per la navigazione in internet si paga 4,5 pesos convertibili (Cuc) l’ora (poco meno di 4 euro). L’ampliamento delle strutture per l’uso di internet era una misura richiesta e attesa da molto tempo dalla popolazione cubana, specie dai giovani., visto che l’indice di connettività nell’isola è fermo a circa il 20% della popolazione(2,6 milioni di utenti, in gran parte nel settore pubblico, su 11,2 milioni di cubani, secondo dati ufficiali). La possibilità infatti di connettersi a casa con il proprio computer è estremamente limitata -alcune categorie come i medici, alti funzionari, accademici, giornalisti, residenti stranieri autorizzati- ed è assai costosa (chi scrive ha un «pacchetto» di 80 ore mensili al costo di circa 50 euro), mentre le poche sale pubbliche erano soprattutto negli hotel di alta categoria, dove il costo della navigazione varia da 6 a 10 Cuc l’ora.

Come quasi sempre accade a Cuba la reazione è stata assai polarizzata, da una parte chi la interpreta – lo stesso Diaz-Canel- come un passo importante, anche se ancora limitato, del governo nell’ambito delle riforme economiche e sociali decise due anni fa dal VI congresso del pc cubano; dall’altra, dissidenti e oppositori che la considerano una misura gattopardesca, piccoli cambiamenti per non cambiare la sostanza, ovvero lo stretto controllo del partito-stato sull’informazione. Data la scarsa penetrazione di internet, infatti, la quasi totalità della popolazione dipende dalla stampa e dalla radio-tv «ufficiali» per essere informati su quanto accade a Cuba e nel mondo. Questi media sono però sottoposti al controllo del Dipartimento ideologico del Comitato centrale del partito comunista e il prodotto che offrono alla popolazione è soggetto a forti critiche. Il mese scorso, l’«ultimo giovedì», uno spazio di discussione a tema organizzato da Temas, la rivista considerata come una palestra di critica «costruttiva» , trattava del rapporto tra opinione pubblica e governo. La netta maggioranza degli interventi ha messo in luce come nell’isola si allarghi la forbice tra, appunto, l’opinione pubblica formata dai media statali e quella che è stata definita l’«opinione popolare», ovvero quello che interessa ai cubani de a pié, la gente comune.

La conclusione di tali «accademici»- la versione cubana dell’intellighenzia sovietica- era che i mass media si occupano poco dei «problemi reali» – economici e sociali – della popolazione. Facendo il paragone con le riforme volute dall’allora presidente sovietico Gorbaciov negli anni Ottanta del secolo scorso, il professore (in pensione) e storico Lopez Oliva sostiene che quella in corso è una perestrojka (movimento di riforme) senza glasnost (trasparenza). A differenza di quanto accadde in Urss, afferma, nella Cuba di oggi non vi sono riviste e giornali che svolgano il ruolo di Argumenty I Fakti, Ogonyok, per citare alcune delle pubblicazioni che contribuirono a diffondere le riforme gorbacioviane, ma anche portare avanti una critica politica e culturale dell’anima stalinista dell’informazione sovietica. A Cuba si contano sulle dita di una mano le pubblicazioni aperte alla critica. Le più note sono appunto Temas e Espacio laical, quest’ultima, appoggiata dal vertice del clero cattolico cubano. Entrambe però hanno una diffusione assai limitata, praticamente ignote alla gente comune.

Lo stesso presidente Raúl in almeno tre occasioni ha rivolto accorati e pressanti appelli ai responsabili dell’informazione perché si «cambi mentalità» e i mass media si occupino maggiormente e criticamente dei problemi della popolazione. Ma le resistenze interne -al vertice politico comunista- devono essere forti se i cambiamenti richiesti tardano o si manifestano col contagocce. A parte la «storica» rubrica «Acuse de recibo» di Juventud rebelde, le «Lettere alla direzione» pubblicate il venerdì dal quotidiano del pc Granma, qualche (poche) rubriche di radio e tv nazionali e un nuovo esperimento di «controllo popolare» di informazioni di cronaca in corso da parte della tv della provincia di Holguin, il resto dei media oficialistas contiene, per usare un’espressione popolare, mucho de lo mismo (sempre le stesse cose, in genere elogiative del governo).

In questa situazione, il contrasto tra l’ufficialità e l’opinione della gente è forte. Basta aprire le lettere alla direzione del Granma di venerdì scorso (21 giugno); su sette lettere pubblicate, sei contengono critiche (alla macchinosa burocrazie del fisco, ai prezzi «irrazionalmente alti», le taglie sballate delle uniformi scolari in vendita – a prezzi veramente modici – per l’anno prossimo , i caschi da motociclista che non si trovano in moneda nacional – peso non convertibile – nella provincia di Villa Clara) e denunce (furto nel peso dei rivenditori ambulanti privati di prodotti agricoli, le condizioni disumane del trasporto privato in camion dall’Avana a Pinar del Rio). Argomenti di cui il quotidiano poco si occupa a giudizio di tali lettori.

La questione della diffusione di internet, dunque di una enorme finestra aperta sul mondo (ma anche sui fatti cubani) senza filtri e di un serbatoio quasi infinito di sapere scientifico e culturale, rappresenta un punto politico nodale per valutare il movimento di riforme in corso. In questo senso, nel suo blog, il corrispondente della Bbc, Fernando Ravesberg, parla di «riforme col contagocce». Con i prezzi attuali, 4,50 Cuc all’ora (poco meno di quattro euro), un lavoratore che porta a casa un salario medio di 17 euro al mese non può certo spendere un quarto del suo reddito per un’ora navigazione. Non solo, nelle sale dell’Etecsa aperte 11 ore al giorno i 334 computer offrono 3700 ore quotidiane di navigazione: se anche solo un decimo degli otto milioni (su una popolazione di 11 milioni) di cittadini potenzialmente interessati a internet volesse navigare un’ora «dovrebbe fare una coda di sei mesi».

Ravenberg mette in luce che, oltre che a prezzi alti, nei cibercafé vigono regole ferree per impedire che l’utente (il quale per aprire un conto di accesso deve fornire un documento di identità) realizzi « azioni pregiudiziali della sicurezza pubblica e…della sovranità nazionale», o che «abbia violato le norme di comportamento etico promosse dallo Stato cubano». In sostanza, conclude il corrispondente della Bbc, «nei cibercafé niente politica e niente sesso». La realtà ha dimostrato che le maglie delle regole non sono così strette: Reinaldo Escobar, marito della più famosa bloguera, anticastrista cubana, tra i primi a sperimentare una nuova sala di internet ha comprovato che si può aprire il blog della Yoani Sánchez come pure il vituperato quotidiano spagnolo El País (il cui corrispondente è stato espulso l’anno scorso) senza incorrere nell’immediato blocco dell’accesso a internet. Chi scrive ha aperto senza problemi siti di giornali e web anticastristi di Miami in un punto internet di Etecsa.

Naturalmente in rete, oltre al sesso, la politica abbonda e corre senza controlli. E su questa possibilità puntano gli Stati uniti per tentare di produrre anche a Cuba, come è accaduto in vari Paesi ex socialisti ,(dall’Ucraina alla Georgia), «rivoluzioni colorate» o una qualche «primavera» di stampo arabo per abbattere il «regime dei Castro». I finanziamenti che gli Stati Uniti danno a Ong che in realtà dipendono dai servizi americani o a organizzazioni anticastriste, come Radio Martì di Miami, raggiungono cifre annuali da capogiro, decine e decine di milioni di dollari. La maggior parte dei quali spesi per mantenere se stessi, come è risultato da un’indagine governativa Usa e come dimostrato dai penosi fallimenti accumulati a Cuba. Però, per oppositori e dissidenti, o autodefinitesi tali, cubani vi sono a disposizione gratuitamente i computer della Sezione di interesse degli Usa all’Avana, dove funzione la banda larga – a differenza di casa mia dove per scaricare il manifesto occorrono di media 45 minuti a 2 kb al secondo. Non solo, ma organizzazioni umanitarie internazionali sempre in odore di servizi, pagano la connessione a Twitter dei noti oppositori dell’isola.

In tali condizioni, voler controllare internet è come raccogliere l’acqua dell’oceano con un cucchiaio. Lo ha detto chiaramente Diaz-Canel. Cuba deve attrezzarsi a rispondere anche a questa forma di ingerenza Usa con maggiore estensione dell’uso di internet a costi accessibili e con tecnologia competitiva. E pochi giorni fa la direzione di Etecsa ha fatto sapere di avere in programma l’offerta di collegamenti internet con Adsl nelle case degli utenti «a iniziare dalla fine del prossimo anno». Lo stesso vicepresidente cubano, è intervenuto per la riapertura di un blog, La joven Cuba, curato da due professori dell’Università di Matanzas che era stato silenziato dalle autorità accademiche per le posizioni critiche degli interventi. Infatti i due professori usano le facilities dell’Università, visto che non possono farlo da casa e ancor meno in un internet caffè. E questo è un altro paradosso messo in luce dai due universitari: chi vuole esprimere -per convinzione o convenienza, visti i finanziamenti americani- le proprie posizioni in opposizione al governo «ha a disposizione la banda larga nordamericana», chi vuole difendere, anche criticamente, il socialismo cubano deve arrabattarsi con mezzi quasi antidiluviani.

Il paradosso ha una valenza politica: in una riunione all’Avana di utenti di Twitter («TwittHab 2.0») cubani si è presentato un signore, risultato essere un funzionario della Sezione di interesse americana, a offrire le meraviglie della tecnologia made in Usa. La maggioranza dei partecipanti ha declinato l’offerta è si è invece espressa a favore di «una blogosfera unita, diversa, critica, e soprattutto cubana, non per essere nati in quest’isola, ma perché intenzionati a scrivere per i cubani».