Come per altri conflitti nell’est europeo, anche per la vicenda ucraina si stanno consumando una serie di errori causati da sottovalutazione d da malafede che incancreniscono e peggiorano la situazione sul terreno. Puntualmente, Tommaso Di Francesco su questo giornale ha riassunto domenica scorsa le diverse “parti in commedia” interpretate dai principali attori coinvolti. E – per chi ha vissuto le vicende jugoslave – sembra di assistere ad uno spettacolo già visto vent’anni fa con l’aggravante che i rischi globali qui sono più incalcolabili, potenzialmente disastrosi.

L’Europa si è comportata al solito da super-nano politico e di fronte alla gravissima crisi politica ed economica dell’Ucraina invece di dare garanzie concrete per un processo certo e veloce, ma con garanzie per tutti, dell’associazione politica con l’Unione Europea ha lasciato fare all’ amico americano e ha offerto per qualche anno 160 milioni di euro di aiuto, mentre Putin metteva sul tavolo qualcosa come 15 miliardi.

Gli Stati uniti ci sono andati giù pesante e hanno puntato a quello che più gli interessava: il possibile allargamento, con l’Ucraina, della sfera della Nato a est, sottraendo alla Federazione Russa la sua influenza su quello che gli americani definirebbero il proprio cortile di casa. È questo – più che l’avvicinamento all’Unione Europea – che ha terrorizzato Putin che in Crimea ha la base della sua flotta navale e interessi strategici fondamentali, non rinunciabili. Che poi la Nato dica – per bocca del suo segretario generale – che in Ucraina sia stato violato il diritto internazionale è affermazione di chi se ne intende, avendo l’Alleanza Atlantica affossato l’Onu ed il diritto internazionale nella guerra in Kosovo nel 1999 e negli interventi militari successivi.

Putin, da guerrafondaio e autocrate qual è, si è mosso cinicamente utilizzando prima un satrapo impresentabile e liberticida come Yanukovich per difendere i suoi interessi geopolitici (uccidendo la democrazia) e poi si è servito delle minoranze russe in Ucraina (messe a rischio dal corso del nuovo governo ucraino) per legittimare la minaccia del ricorso alla forza militare. Quanto al nuovo governo ucraino di Arseni Iatsenuk non è proprio una compagine di santarellini, bensì di nazionalisti e populisti e di post-nazisti mascherati (tre ministri) che provengono dal Partito Nazional-Sociale. Una sigla che è tutto un programma (in un paese dal passato di progrom contro gli ebrei), diplomaticamente cambiata pochi anni fa in Svoboda (Libertà) e così anche il simbolo impercettibilmente modificato della svastica è stato sostituito da un più rassicurante logo con tre dita alzate.

Tutto questo in una realtà complessa – per la composizione etnica – di un paese che come tanti altri in questa parte d’Europa è fatto da diverse nazionalità che per convivere non devono sentirsi prevaricate e hanno bisogno di costruire un equilibrio fatto di garanzie democratiche e rispetto dei diritti umani e degli spazi delle minoranze. Tutto quello che questo nuovo governo ucraino (come il vecchio) non sembra in grado di garantire. La «società civile» vista in azione a Kiev in questi mesi è una parte importante di una sollevazione popolare contro il vecchio regime: ma, appunto, si tratta solo di una parte (poi c’è quella russofona che scende in piazza a Simferopol e a Donetsk) e anche, per certi versi, preda delle manipolazioni populiste e nazionaliste. Già visto in ex Jugoslavia come le piazze siano utilizzate da leadership becere e senza scrupoli.

Ieri si sono riuniti a Bruxelles i ministri degli Esteri dell’Unione europea, ma poche novità. Domenica si è riunita invece una sorta di troiketta italiana del primo ministro e dei ministri degli esteri e della difesa (Renzi, Mogherini, Pinotti) che ha annunciato un sorprendente dinamismo («siamo in contatto con gli ambasciatori») e si è schierata, con un comunicato, su posizioni cerchiobottiste tra la colomba Merkel e il falco Kerry. Mentre sabato scorso il vice ministro degli Esteri Pistelli – in un’intervista all’Huffington Post – si era espresso con ben altra consapevolezza dei problemi e della complessità di una situazione che non può essere risolta facendo il «muso duro» contro i russi, mentre bisogna anche che si «isolino gli estremismi presenti a Kiev». Peccato che Renzi non ascolti più come un tempo il suo vice ministro.
Infine, anche la sinistra (non solo quella politica, ma anche quella dei movimenti e delle associazioni) deve recuperare il tempo perduto. Troppa disattenzione e sottovalutazione della vicenda. Un tempo, si sarebbero organizzati incontri e sarebbero partite delegazioni per Kiev e per le altre città ucraine. Fino ad adesso l’hanno fatto Forza Nuova (e pochi altri), che è tutto dire. È successo poco, troppo poco.

L’Ucraina è un banco di prova, anche per le prossime elezioni europee e per Tsipras. L’Altra Europa è anche quella che è rimasta segregata dalla costruzione di un’Europa democratica e dei popoli che pure nel cosiddetto occidente ha tanta difficoltà ad aprirsi un varco. La prevenzione di una guerra disastrosa e la sconfitta del populismo e del nazionalismo possono trovare non solo a Bruxelles, ma anche a Kiev, un importante terreno di mobilitazione e di iniziativa della sinistra europea. Proviamoci.