Tutti aspettano la “soluzione di sistema”: il piano di intervento pubblico da 15 miliardi per mettere, momentaneamente, in sicurezza il comparto bancario. Lo si nota dall’andamento della borsa, che affossa Mps (-11%) nel primo dei quattro decisivi giorni per la ricapitalizzazione da 5 miliardi, di cui uno già entrato in cassaforte. Ma anche le altre banche non vanno meglio: Piazza Affari penalizza Unicredit (-4,53%), Bper (-3,86%), Banco Popolare (-2,72%), Bpm (-2,63%) e in misura minore gli altri istituti di credito.
E’ l’effetto diretto dell’inazione del governo Renzi sul settore del credito, come nota fra i tanti Susanna Camusso: “Il governo è in ritardo, lo sappiamo tutti che ha continuato a rinviare il tempo in cui bisognava affrontare il tema delle sofferenze delle banche e della ricapitalizzazione, è stato in ritardo rispetto alle conseguenze che avrebbe avuto il bail-in sul nostro sistema bancario, speriamo che non si perda ulteriore tempo”. Se poi si pensa che il giudizio della Cgil non sia probante, ecco ad esempio il direttore dell’ennesima piccola banca da risanare, la riminese Carim: “Immaginare una soluzione avulsa da una di sistema è poco credibile – anticipa Giampaolo Scardone – per consentire il parallelo potenziamento di tutte le banche, che sono tante e di differente dimensione”.
Si torna quindi al decreto legge omnibus sul settore bancario, che appunto prevede un fondo da 15 miliardi – da utilizzare per Mps e per tutti gli altri istituti in crisi, dalle due venete Bpvi e Veneto Banca alla genovese Carige – che deve però essere autorizzato dal Parlamento perché aumenta il debito pubblico. Di più: c’è da tamponare almeno fiscalmente il bagno di sangue del salvataggio di Etruria & c., costato 1,6 miliardi a Unicredit, Intesa San Paolo e Ubi, con quest’ultima alla finestra per acquistare, al prezzo simbolico di un euro, tre delle quattro new bank (Etruria, Banca Marche e Carichieti). E ancora il decreto dovrà mettere nero su bianco lo slittamento della scadenza per la riforma delle banche popolari, altra riforma renziana fallita.
Il problema è che il decreto ha un costo salato. Sia politico, visto che i 15 miliardi saranno della collettività, con tutto quel che può conseguirne. Sia tecnico, dato che Pier Carlo Padoan vorrebbe evitare di replicare il meccanismo utilizzato per le quattro banche fallite nel novembre 2015, con l’azzeramento di azioni e sub-obbligazioni e poi una lunga trafila di ricorsi per ottenere parziali rimborsi. Quindi si aspetta. Almeno fino a giovedì, quando sarà chiarito il destino di un Monte dei Paschi travolto non soltanto dallo sciagurato acquisto di Antonveneta a prezzi folli (nell’anno della epocale crisi finanziaria del 2008), ma anche dalla pervicace volontà della politica e dei vertici successivi, da Profumo a Morelli, di non chiedere un parziale, temporaneo intervento pubblico.