Potrebbe essere il consiglio dei ministri fissato per oggi a dare un’accelerata alla soluzione per le due banche venete. Ieri è stata una giornata di riunioni per il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, con l’obiettivo di portare a chiusura l’acquisizione dei due istituti da parte di Intesa, ma con un occhio alle regole Ue e alle richieste dei sindacati, che premono perché il personale non venga licenziato, ma possa godere dei prepensionamenti (non graditi ai tecnocrati di Bruxelles).

Due i vertici caldi: tra il premier e il ministro dell’Economia a Palazzo Chigi, e tra lo stesso ministro, Banca d’Italia e Intesa in conference call. L’istituto torinese è impegnato in un braccio di ferro con il Tesoro per sostenere le proprie condizioni. «Siamo in contatto continuo con le autorità europee – ha assicurato il presidente del Consiglio – Mi sento di confermare totalmente la garanzia per quanto riguarda i risparmiatori e i correntisti».

Lo schema su cui si sta lavorando prevede la separazione tra good e bad bank di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, così da consentire a Intesa Sanpaolo di rilevare a un euro la parte buona dei due istituti, mentre la bad sarà gestita dallo Stato. L’operazione dovrebbe comportare circa 4 mila esuberi, per un costo di circa 1,2 miliardi di euro. Dei posti di lavoro da tagliare con i prepensionamenti, solo 1.200 nelle venete avrebbero i requisiti, mentre gli altri sarebbero di Intesa che, però, anche dopo l’acquisizione delle good bank, non intende sostenere costi e nemmeno considerare l’ipotesi licenziamenti. Servirà quindi un rafforzamento del fondo esuberi con un intervento pubblico. In quel caso, Intesa potrebbe usufruirne anche per i propri dipendenti.

Un’ipotesi, quest’ultima, che non sembra essere ben vista dalla Commissione europea, visto che implica l’uso di fondi pubblici (rischiando quindi l’aiuto di Stato). Per questo dai sindacati sono arrivati appelli al governo. «In Europa c’è chi vuole i licenziamenti», ha detto il segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni. Appello a tutelare i posti di lavoro che è stato avanzato anche da Agostino Megale (Fisac Cgil).

Altro nodo è il «no» di Intesa alla richiesta del governo di partecipare al rimborso dei titolari di bond subordinati, che saranno praticamente azzerati insieme agli azionisti. C’è poi la necessità, per Intesa, di avere la certezza che vi sarà corrispondenza fra il decreto e la legge in cui verrà convertito. L’esecutivo ha fatto presente che può garantire il suo impegno e che i tempi saranno veloci, ma non risulta che ci siano tecnicismi normativi in grado di blindare il testo.

Intanto, i cda delle venete hanno fatto il punto in due riunioni. «Tutti adesso pensano basti un euro – ha dichiarato Gianni Mion, presidente della Popolare di Vicenza – Io non posso valutare la proposta, non mi posso lamentare dei professori, io sono stato bocciato. È stato bocciato tutto, le persone, il piano e pure io».

Più fiducioso il presidente emerito di Intesa, Giovanni Bazoli, secondo il quale l’offerta dell’istituto di Cà de Sass «avvia verso una soluzione finale e rapida». Anche per il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, l’offerta «è buona». Quindi, ha aggiunto, «accontentiamoci pragmaticamente di un’offerta e di una grande banca senza la quale avremmo avuto molti più problemi».