C’era voluta molta fantasia per riuscire a varare il salvataggio di quattro banche di periferia, operazione sulla quale i giornali hanno dato molte informazioni. Il fallimento era dovuto al convergere armonioso di un comune sentire tra manager corrotti, imprenditori arruffoni e corruttori, consigli di amministrazione, collegi sindacali, enti pubblici, partiti di governo e di opposizione, ignari e/o complici, nonché di una Banca d’Italia lenta nei suoi accertamenti e nelle sue decisioni. Diverse soluzioni per la chiusura della partita erano state scartate per il severo scrutinio delle autorità europee, attente custodi di una esclusione dei soldi pubblici da qualsiasi salvataggio. Si era infine deciso di chiudere in fretta l’operazione prima della scadenza fatidica del 1 gennaio 2016, quando le regole dei salvataggi cambieranno. Mentre sino a fine dicembre 2015 obbligazionisti ordinari e depositanti oltre i 100mila euro sono esentati dalla partecipazione alle perdite, che riguarda solo gli azionisti ordinari e di risparmio e gli obbligazionisti subordinati, con il nuovo anno invece tutte le categorie dovranno partecipare al sacrificio.

Il provvedimento varato dal governo presentava diversi problemi. Intanto per salvare i quattro istituti si è utilizzato interamente il fondo di risoluzione a tale fine istituito, non solo per quanto riguarda i contributi versati ma anche per quelli di competenza dei prossimi tre anni. Nessuno sa cosa succederà se qualche altra banca andrà in crisi. Poi c’è il problema degli azionisti di risparmio e degli obbligazionisti subordinati, che perdono tutto; sembra che soltanto in questa categoria siano comprese circa 130mila persone, per un capitale di quasi 800 milioni. Si tratta spesso, anche se non sempre, di piccoli risparmiatori, spesso ignari dei rischi a cui andavano incontro e di frequente sollecitati dai funzionari dei vari istituti a comprare della carta straccia. Non si sa se prendersela di più con questi impiegati, spesso anche loro poco edotti di quello che fanno, spronati dai capi e con la prospettiva di guadagnare qualche euro in più, o con dei risparmiatori avidi di rendimenti fuori misura e che non conoscono le basilari regole della finanza. Il governo, sentendo ora la minaccia di perdere voti, si mobilita. Sono in campo due diverse proposte per venire incontro alla rabbia dei risparmiatori. Da una parte si vorrebbe distribuire 120 milioni di euro solo a chi dimostrerà lo stato di bisogno – non si sa come-, dall’altra invece si fornirebbe ai contribuenti un credito d’imposta pari al 26% delle perdite subite. Nel frattempo, come al solito, anche la Consob fa forse finta di arrabbiarsi e di mobilitarsi. Nessuno ovviamente pensa a varare delle politiche di prevenzione. Con una migliore informazione finanziaria e una vigilanza più attenta degli organi preposti.