Economia

Banche, la semplicistica ricerca di un (solo) colpevole

Banche, la semplicistica ricerca di un (solo) colpevoleIl governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco – LaPresse

L'analisi La commissione di inchiesta, le authority, il populismo dei politici. Sulla questione dei risparmiatori truffati si cerca una sorta di "capro espiatorio". Ma i responsabili sono tanti

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 3 gennaio 2016

La maldestra vicenda della chiusura delle quattro banche in crisi è un simbolo della situazione complessiva delle istituzioni pubbliche e private del nostro paese e della confusione in cui esse sono da tempo piombate. Nessuno appare del tutto innocente, anche se bisogna guardarsi dalla tentazione diffusa nel volere comunque una giustizia sommaria. Bisognerebbe distinguere bene le responsabilità di ciascuno degli attori del gioco.

A tout seigneur tout honneur, cominciamo con il governo. Intanto è stato sottolineato come esso si sia mostrato troppo arrendevole con le pretese di Bruxelles, che aveva escluso una soluzione meno traumatica per i risparmiatori. Il governo proprio in questo caso avrebbe dovuto resistere. Poi la gestione della crisi appare comunque pasticciata, come accade spesso con questa compagine e i problemi della stessa sottovalutati.

Ora il presidente del consiglio Matteo Renzi cavalca le spinte demagogiche che emergono dal caso, anche per coprire i suoi problemi su di altri piani; nei giorni scorsi anche il New York Times ha sottolineato come il Jobs Act si sia rivelato, sino a oggi, un fallimento, mentre il Financial Times ha messo fortemente in dubbio la volontà del governo di combattere l’evasione fiscale.
Renzi cerca di usare l’occasione per colpire una Banca d’Italia che, pure non immune da critiche, resta uno dei pochi baluardi del nostro paese non toccati da corruzione e intrighi; essa ha la colpa di essere un potere autonomo dalle onnivore pretese di comando del toscano.

Quella della commissione d’inchiesta, con la quale il Parlamento dovrebbe indagare sulle banche addirittura negli ultimi quindici anni, appare un’idea devastante. Essa delegittimerebbe una istituzione importante per il paese, come la Banca d’Italia. La commissione avrebbe gli stessi poteri della magistratura, con cui si creerebbero sovrapposizioni, mentre essa potrebbe diventare la scena in cui potrebbero esibirsi contro lo stesso Istituto politici anche della più dubbia reputazione. Questa voltail presidente della Repubblica Sergio Mattarella, uscendo da un certo letargo, ha cercato di difendere l’istituzione, mentre ha frenato la voglia interventista del presidente del consiglio e le parallele ire del governatore della banca centrale, Ignazio Visco.

Anche il Pd non ha fatto una grande figura. Tre della quattro banche ora in crisi erano collocate in zone tradizionalmente rosse del paese e se consideriamo consiglieri di amministrazione, sindaci, Fondazioni, nessuno in questi anni ha mai visto e sentito niente. Un fallimento storico.

E veniamo alla stessa Banca d’Italia. Ci sembra che il suo maggiore torto sia da sempre quello di arrivare tardi, a volte molto tardi, sugli eventi. Tutto sembrerebbe colpa di una struttura burocratica elefantiaca, con troppi gradini gerarchici; non sono mancati peraltro, nel caso, degli errori specifici.

Anche molti degli organi di stampa non escono bene dall’affare; gran parte delle vicende su cui ora si insiste con ossessione persino vergognosa erano già note da parecchio tempo e i giornali vi avevano solo lanciato un’occhiata distratta.

La Consob, come al solito, non ha visto e sentito niente. Ma il problema va oltre le gravi responsabilità della stessa e pone ancora una volta in discussione l’utilità generale delle Authority che, in un paese come il nostro, non servono veramente a nulla, se non a coprire a volte le malefatte. A proposito, da ieri è aumentato il prezzo delle autostrade, in qualche caso anche del 6,5%: come mai? Che ne dice l’authority preposta?

E veniamo al mondo delle banche.

L’Abi, in tutti questi anni, si è limitata, come tutte le associazioni del genere nel nostro paese, a una difesa corporativa dei suoi associati. Sembra che sia stato anche tale organismo a raccomandare l’emissione di titoli subordinati a banche che avevano un disperato bisogno di nuovi capitali.

Per quanto riguarda gli istituti incriminati, ci limitiamo a ricordare che i guai non derivano solo dalla crisi dell’economia, ma da specifiche azioni criminose poste in essere da persone ai vertici degli istituti, nella complicità o indifferenza di tutti. Ed evitiamo, per carità di patria, di parlare degli impiegati che vendevano le obbligazioni e dei risparmiatori più o meno sprovveduti.

Per quanto riguarda ancora le stesse obbligazioni, dei titoli parecchio rischiosi erano venduti a tassi relativamente bassi, mentre si offrivano rendimenti molto più alti agli investitori istituzionali.

Una delle prossime guerre della vicenda sarà combattuta dagli avvocati perché sia riconosciuta una continuità aziendale tra vecchi e nuovi istituti, ciò che aprirebbe la strada ai risarcimenti da parte delle nuove entità. Intanto appare comunque un rompicapo la definizione di chi avrà diritto al rimborso e chi no. Sembra, tra l’altro, che saranno i truffati a dover dimostrare il raggiro. Ma finirà magari che bisognerà risarcire tutti, anche i furbi.

L’Abi ci scrive

Con riferimento all’interessante articolo di Vincenzo Comito pubblicato sul «manifesto» di domenica scorsa, che effettua un’ampia ricognizione, con relativo commento, sulle istituzioni pubbliche e private nel nostro Paese, preme precisare il ruolo svolto dall’Abi.

L’Associazione Bancaria Italiana è un’associazione privata e volontaria di banche e società che svolgono attività finanziaria. Banche e società tutte private e in concorrenza tra loro. All’Associazione pertanto non compete alcuna funzione di indirizzo o controllo sull’attività svolta dai propri Associati in completa autonomia. L’Abi, quindi, non può dare indirizzi di alcuna natura ai propri Associati, ancor più quando questi rientrerebbero nella sfera delle scelte imprenditoriali e gestionali proprie di ciascuna banca. Tra queste scelte rientrano a pieno titolo l’emissione di azioni, di obbligazioni o di altri strumenti finanziari. A norma di Statuto, l’Abi rappresenta, tutela e promuove i legittimi comuni interessi degli Associati per la crescita ordinata, stabile ed efficiente delle imprese bancarie.

Inoltre, l’Abi concorre a promuovere forme di collaborazione che consentano di perseguire le più ampie finalità di progresso e sviluppo dell’Italia. Solo a titolo d’esempio ricordiamo le oltre 450.000 imprese e le 100.000 famiglie che hanno potuto usufruire in questi anni delle cosiddette moratorie sui mutui definite sulla base di accordi promossi dall’ABI insieme alle rappresentanze di imprese e dei consumatori. Con tali accordi è stato possibile mettere a disposizione significative risorse aggiuntive per superare la crisi che ha attanagliato l’Italia negli ultimi 7 anni.

Ringraziando per l’attenzione, porgo i migliori Auguri per il nuovo anno.

Gianfranco Torriero, Vice Direttore Generale Abi, il manifesto del 5 gennaio 2015

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