A luglio scatteranno due miliardi di tagli previsti dal governo nella legge di bilancio approvata a dicembre 2018. L’ipotesi è stata confermata ieri dal vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis durante una conferenza stampa all’Ecofin di Bucarest. «Quando abbiamo discusso la legge di bilancio con le autorità italiane c’erano le cosiddette clausole di salvaguardia che congelavano alcune spese, che nelle circostanze attuali dovrebbero essere attivate» ha aggiunto Dombrovskis. Sarebbe questa la prima conseguenza del rovescio previsionale sulla crescita subito dal governo penta-leghista in carica da soli dieci mesi.

«L’ECONOMIA ha rallentato e la legge di bilancio è basata su previsioni più ottimistiche con una crescita dell’1% – ha proseguito Dombrovskis – Ma ora sappiamo dalle nostre previsioni economiche la crescita è dello 0,2% e forse può essere anche meno. Abbiamo chiesto di nuovo al governo italiano di essere del tutto conforme alle regole del patto di Stabilità e crescita e il ministro Tria ha assicurato che queste sono le intenzioni del governo italiano. Non posso anticipare i numeri prima che lo faccia lo stesso ministro, ma in ogni caso questa è l’intenzione del governo indicata dal ministro. Il lavoro è in corso e lascerei a Tria presentare i dati».

LA POSSIBILITÀ DI UN’AUSTERITÀ auto-inflitta dai «populisti» che dovevano sfidare le imposizioni del Fiscal Compact non è stata smentita dal presidente del Consiglio Conte, quello della profezia sull’«anno bellissimo». «Abbiamo delle clausole importanti da fronteggiare, ma ci stiamo già lavorando con vari accorgimenti – ha detto venerdì scorso – A luglio, se le previsioni saranno differenti da quelle anticipate, entrerà in azione un meccanismo automatico sul controllo della spesa per due miliardi. Poi continueremo a operare per una spending review più oculata». Per attutire il colpo è anche possibile una rimodulazione della spesa prevista per il sussidio detto impropriamente «reddito di cittadinanza» e la «quota 100». Se le richieste, come sembra, saranno inferiori a quelle preventivate, le poste mancanti potrebbero essere prese da qui. La prossima legge di bilancio partirà da 23 miliardi di euro, necessari per sterilizzare le altre clausole di salvaguardia sull’Iva. Ci sarà tempo per trovare dissimulazioni. La fantasia al potere non manca.

MARTEDÌ PROSSIMO dovrebbe essere presentato il nuovo documento di economia e finanza (Def), primo passo della via crucis che attende l’esecutivo. Il documento dovrebbe recepire le nuove prospettive economiche modificando sensibilmente la previsione sul deficit che dal 2,04% dovrebbe balzare al 2,4-2,5% con il debito pubblico al 132,6%. Ma questa è la fotografia in movimento di una trattativa che diventerà una cayenna dove Lega e Cinque Stelle si sbraneranno in vista delle europee del 26 maggio. Chi ha il polso della situazione è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. A protezione di Tria ieri in un messaggio al «Family Business Festival» ieri ha invitato i contendenti a mantenere un contegno: «Le istituzioni dovrebbero assicurare un costesto di fiducia e stabilità agli investimenti, alla ricerca e all’innovazione per garantire una crescita sostenibile». Dovrebbero.

IL CAPRO ESPIATORIO resta il ministro dell’economia Giovanni Tria. Superato lo scoglio dei rimborsi ai «truffati dalle banche», Tria dovrà aggirare un altro petardo rilanciato ieri dall’ideologo leghista della «flat tax» all’italiana. Il sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri gli ha chiesto di inserire 12 miliardi nel Def: «Non è tempo di timidezze» ha preannunciato.
IN QUESTO IMPASTO straordinario di populismo del mercato e liberismo fiscale a beneficio dei ricchi il governo potrà sempre ricorrere alla formula più fortunata del momento: il «salvo intese». Procrastinare per non decidere. Decidere per procrastinare. È stata già applicata un paio di volte negli ultimi dieci giorni: per lo «sblocca cantieri» (ribattezzato dalla Cgil «sblocca porcate») e per il «decreto crescita» pieno di condoni elettorali e promesse di privatizzazioni sulla carta. Il Tesoro avrebbe previsto di raschiare il fondo del barile nella seconda metà dell’anno. Così si dovrebbe arrivare forse allo 0,2% del Pil. E, in ogni caso, la definiranno comunque una «ripresa incredibile».