Ad appena due anni dal discusso, e alla fine assai “mediato”, provvedimento del governo Renzi-Padoan, cambia ancora la riforma sulle banche di credito cooperativo. Ma quanto e come ancora non è chiaro, visto che l’originario tentativo leghista di intervenire con un emendamento “demolitore” della riforma, all’interno del decreto fiscale, ha dato il via a una discussione interna al governo. Non chiusa nemmeno da un vertice mattutino della trimurti Conte-Di Maio-Salvini a Palazzo Chigi, almeno a giudicare dalle parole del ministro per i rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro (M5S), a margine del question time alla Camera: “Si sta ragionando su varie ipotesi, vedremo la migliore”. Che potrebbe comprendere anche l’intervento delle opposizioni, per una soluzione il più possibile condivisa.
Tanta cautela deriva da almeno un paio di fattori. Il principale è legato al fatto che una buona parte delle 280 Bcc che, secondo la riforma Renzi-Padoan, dovevano aderire o al gruppo Iccrea o al gruppo di Cassa centrale banca (più le altoatesine nel polo Raiffeisen), hanno già deliberato o stanno per farlo. Inoltre, in sintonia con le mediazioni della riforma, solo due mesi fa il decreto milleproroghe aveva ulteriormente rafforzato a favore delle Bcc il controllo del gruppo bancario in forma di spa (almeno il 60% del capitale in mano alle banche aderenti). Infine non va dimenticato che, dopo la Bce, anche gli ispettori del Fmi hanno approvato la riforma, invitando il governo a “non ritardare” la nascita dei tre gruppi cooperativi.
A motivare le mosse della Lega è assai probabile l’ipotesi di un accordo politico con le Bcc trentine, cioè del gruppo Cassa centrale banca, e altoatesine. Un effetto diretto (o una causa) delle recenti elezioni. A riprova, l’emendamento leghista prevede che “le banche hanno la facoltà di adottare, in alternativa alla costituzione del gruppo bancario cooperativo, sistemi di tutela istituzionale”. E in serata si vagheggiava di circoscrivere l’operazione al solo Trentino Alto Adige.
Il modello di riferimento è quello tedesco delle Sparkassen e Volksbanken, che sono oltre 1.500 e gestiscono il 44% dei prestiti erogati nel paese. E che non ricadono sotto la vigilanza della Bce, grazie a un riuscito blitz del primo governo Merkel sull’asse Bruxelles-Francoforte. Motivo per cui il sistema creditizio tedesco ha retto, al di là dei suoi comprovati demeriti, alla bufera finanziaria post 2008.
Al contrario, con la nascita dei tre grandi gruppi di Bcc italiane sottoposte alle costose regole della vigilanza Bce, e con lo spread a 300, il timore (fondato) di Lega e Cinque Stelle sia quello di una ulteriore stretta al credito alle Pmi, che per un governo economicamente zoppicante sarebbe un disastro.
Va poi da sé che i pentastellati stiano vendendo l’intervento alla loro maniera. Ancora Fraccaro, in Parlamento: “Credo sia necessario garantire che questi gruppi non diventino, come sono oggi nell’intenzione dell’ex premier (Renzi, ndr), delle spa scalabili, anche da banche straniere”. Infine un’anticipazione, illuminante, di conferma del quadro: “Le Bcc non dovranno contabilizzare costantemente perdite legate allo spread: sarà una norma per tenerle lontane dalle speculazioni finanziarie, evitando che le oscillazioni dei rendimenti dei titoli impattino negativamente sui bilanci”.