La parola che tutti hanno in mente ma che nessuno vuole dire è «disastro». Banca Marche come Monte dei Paschi di Siena? Lo spettro del default si nasconde dietro un angolo distante sette giorni da oggi: se mercoledì 31 luglio non usciranno fuori 80 milioni di euro, la situazione rischia seriamente di precipitare. Tanti infatti sono i soldi necessari a rientrare nei coefficienti patrimoniali minimi fissati dalla vigilanza bancaria. Un quarto della cifra sarebbe garantito già dalle fondazioni delle casse di risparmio di Jesi e Pesaro, mentre per i restanti 60 milioni, voci di corridoio – non confermate né confermabili – parlano di una non meglio precisata cordata di imprenditori che si starebbe attivando per trovarli.

Anche se si riuscisse nell’impresa disperata, nessuno potrebbe tirare un sospiro di sollievo e il pericolo sarebbe scampato solo momentaneamente. La situazione dei bilanci è infatti terrificante: nel 2012 Banca Marche ha chiuso l’esercizio con una perdita di 526 milioni. Banca d’Italia ha fatto la sua mossa un paio di settimane fa, imponendo un commissariamento di fatto con la nomina di Rainer Masera alla presidenza dell’Istituto. Una chiara sfiducia soprattutto alla politica marchigiana, che controlla la banca praticamente dall’alba dei tempi cambiando cda e dirigenti come pedine su una scacchiera.

La grande accusa, per la passata gestione, è di aver continuato a investire sul mattone anche in un momento di enorme crisi immobiliare, contrariamente a quanto stavano facendo le altre banche del Belpaese, che ai costruttori non prestavano più nemmeno un centesimo bucato: «E’ così che la Regione finanziava i suoi amici» sussurrano soprattutto a destra, chi chiedendo conto di una gestione tanto dissennata, chi, come il consigliere regionale Giulio Natali di Fratelli d’Italia, gridando a un complotto fatto di «trasversali alleanze massoniche che guardano a Masera come possibile salvatore». Amici da finanziare o meno, comunque, questa politica di carattere immobiliarista ha prodotto un buco dalle dimensioni colossali.
Andando a guardare la struttura societaria, poi, ci si rende conto di una sinistra analogia con Monte dei Paschi: la maggioranza delle azioni (il 55 per cento) è in mano alle fondazioni, quelle di Jesi, Pesaro e Macerata. Oltre a una guerra di posizione tra le prime due e la terza, il problema è che i soldi scarseggiano per tutti e nessuno sembra in grado di sostenere la passata gestione, malgrado tutte e tre ne siano corresponsabili perché azionisti di controllo. Se le cose dovessero mettersi male, comunque, l’iter è già tracciato: il gruppo sarebbe preso dalla Banca d’Italia, per poi essere affidato a qualche grande gruppo, come Intesa Sanpaolo che già può contare sul 5.84 per cento delle azioni.

Adesso anche i deputati marchigiani del Movimento Cinque Stelle rilanciano le accuse di gestione dissennata negli ultimi anni: «I consigli di amministrazione di dette fondazioni – sostengono – esprimono anche membri legati a doppio filo con i partiti politici, il Pd in particolare. Del sistema creditizio di Banca Marche ha usufruito, in particolare, il mondo dell’imprenditoria edile, sostenuto fino all’altro ieri in modo massiccio e oggi messo con le spalle al muro dall’Istituto, che gli chiede di contribuire a coprire parte del disavanzo, in pochi giorni, versando 60 milioni di euro». È qui che si chiude il cerchio, la banca sta chiedendo agli imprenditori amici – che di tanti favori hanno goduto in passato – di contribuire a salvare baracca e burattini. Solo che il tempo stringe e gli incubi si moltiplicano notte dopo notte.

Nel mezzo, continuano regolamenti di conti personali, scambi di accuse, recriminazioni e pianti amari, nella migliore tradizione delle telenovelas: ogni grande fallimento porta con sé uno strascico di storielle a fare da contorno. Parla da sola una vicenda accaduta due anni fa esatti, ricostruita dal quotidiano online Cronache Maceratesi. Era il 21 giugno del 2011 quando una lettera dell’allora presidente di Banca Marche, Michele Ambrosini, dichiarò concluso, a decorrere dal 31 luglio successivo, il rapporto di lavoro con il manager Massimo Bianconi. La buonuscita fu di un milione e mezzo di euro lordi. Lo stesso giorno, però, Ambrosini comunicò a Bianconi che la Banca «si impegna nei suoi confronti a sottoscrivere un contratto di lavoro a tempo determinato in qualità di direttore generale», a decorrere dal 22 luglio, fino al 14 maggio del 2014. Entrambe le decisioni sarebbero state prese nello stesso consiglio di amministrazione, il 9 giugno precedente. Un anno dopo, a luglio, Bianconi se ne andrà di nuovo, e definitivamente, a casa, con una nuova sostanziosa buonuscita da 2.3 milioni.