Dopo un lungo excursus giudiziario la corte d’Appello di Torino ha dichiarato illegittimo applicate fino al 2009 dall’Istituto Intesa Sanpaolo. Se in Italia fosse presente la legge denominata «class action» il maggior gruppo bancario torinese rischierebbe di dover risarcire non meno di sessantamila clienti.

L’associazione Altroconsumo ieri ha diramato un comunicato stampa dai toni agrodolci: «E’ una vittoria amara. Solo sei consumatori hanno ottenuto il rimborso. Alla class action avevano aderito 104 consumatori, ma la loro adesione nella maggior parte dei casi non è stata ritenuta valida dal tribunale per un cavillo: la firma non era stata autenticata da un notaio, formalità neppure prevista dalla legge. Autenticare la firma costa di più dell’importo in gioco».

Nel 2011 tre correntisti di Intesa Sanpaolo avevano iniziato, tramite l’Associazione Altroconsumo, una class action contro la banca, chiedendo la restituzione delle somme pagate nel 2009 e nel 2010 per la «Commissione per scoperto di conto», un costo che proprio a partire dal 2009 aveva sostituito, nei conti correnti «in rosso», la vecchia, famigerata «Commissione di massimo scoperto». Nel corso della class action avevano aderito altri centoquattro titolari di conto corrente. Ieri la prima sezione civile del Tribunale di Torino ha accolto le tesi dei clienti e di tre aderenti e ha condannato Intesa Sanpaolo a pagare loro gli importi addebitati con la «Commissione per scoperto di conto»; le somme vanno da 44 a 430 Euro per ciascuno di essi.

L’avvocato Fabrizio de Francesco, che ha seguito la class action insieme ai legali dello studio Bin Avvocati Associati, ha così commentato: «Si tratta davvero di un risultato importante nell’azione di classe che, secondo quanto ci risulta, è quella che al momento, in Italia, è arrivata a decisione con il maggior numero di adesioni. La sentenza del Tribunale di Torino è chiarissima nel dichiarare la nullità della Commissione per scoperto di conto, introdotta da Intesa Sanpaolo a partire dal 2009. La legge aveva vietato l’applicazione della Commissione di massimo scoperto nei contratti dei piccoli correntisti, quelli privi di un vero e proprio fido, e la banca aveva cercato di sostituirla con questa nuova clausola. Oggi il Tribunale di Torino ci ha detto che con questo meccanismo la legge del 2009 è stata violata».

Si tratta di una vittoria molto significativa per i clienti, la prima di questa portata in una causa collettiva che potrebbe riguardare anche altre banche. Tutti gli istituti di credito, infatti, nel 2009 avevano sostituito la «Commissione di massimo scoperto» con voci analoghe, molto spesso cambiandone solo il nome e persino aumentando i costi per i correntisti. Al punto che seri moniti erano stati sollevati dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato sugli effetti di questo comportamento.

La sentenza ha invece ridotto considerevolmente il numero degli aderenti, escludendone ben centouno su centoquattro. Nel corso del processo, infatti, il Tribunale di Torino aveva richiesto che le adesioni alla class action fossero presentate con firma autenticata ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000 e, con la sentenza di ieri, ha chiarito che ciò sarebbe dovuto avvenire tramite il notaio, il cancelliere del tribunale o il segretario comunale.